Economia

All’Eni strategia della prudenza: tagliati gli obiettivi di produzione

L’Eni nell'immediato futuro farà due cose molto precise: andrà alla ricerca di giganti, cioè quei giacimenti di petrolio con almeno 500 milioni di barili di riserve, e non darà ascolto a quei finanzieri, come il fondo attivista Knight Vinke, che vorrebbero dividere il gruppo energetico a metà mettendo da una parte le attività di esplorazione e produzione di idrocarburi e dall’altra quella di distribuzione del gas. Seguendo queste linee guida prevede, nei prossimi quattro anni, di aumentare mediamente la sua produzione del 2,5% all’anno, un punto in meno rispetto al piano precedente. Previsioni di crescita «meno audaci, ma raggiungibili perché mi sono scocciato di promettere e di non mantenere», ha detto l’ad, Paolo Scaroni, nel corso dell’incontro di ieri con gli analisti e la stampa. Il gruppo intende comunque rafforzare la sua leadership europea nel mercato del gas raggiungendo una quota del 22% nel 2013. Tutto questo consentirà di generare cassa, tanto da poter già programmare una politica di remunerazione degli azionisti precisa: il dividendo di un euro deciso per il 2010 sarà confermato e adeguato, negli anni successivi, al tasso di inflazione che si registrerà nei Paesi dell’Ocse. Una presentazione che, tuttavia, non è stata giudicata soddisfacente dai mercati visto che il titolo ieri ha perso il 2%.
Scaroni ha parlato del grande giacimento da un miliardo di barili di greggio che la società si era assicurata in Uganda, ma al quale all’ultimo momento ha dovuto rinunciare. «L’Uganda ci piaceva - ha detto - perché il petrolio c’era e quindi i rischi esplorativi erano ridotti. E per questo avevamo deciso di investirci 13 miliardi di dollari. Comunque anche senza Uganda la nostra ricerca di giacimenti giganti prosegue: siamo impegnati a Zubair in Iraq e in Venezuela».
Sul tema della focalizzazione del business Scaroni è stato netto. «Quando sono arrivato a San Donato - ha detto - , molti mi hanno fatto notare che l’Eni è un animale strano perché fa tanti mestieri diversi e mi hanno consigliato di vendere la Snam e la Saipem per fare della nostra società qualcosa che assomigliasse, molto in piccolo, alla Exxon Mobil, il modello per tutti nel campo petrolifero. Oggi sono molto contento di non aver fatto nulla di tutto questo: la Saipem, in questi anni, ha avuto una redditività del 210%, la Snam del 65. Senza questi asset non avremmo avuto le performance che abbiamo avuto. Siamo terzi al mondo, dopo Chevron e a un’incollatura dalla Total, per creazione di valore per gli azionisti».
Un altro tema toccato è stato quello dei due grandi gasdotti, South Stream e Nabucco, che devono alimentare l’Europa. Nei giorni scorsi Scaroni ha avanzato la proposta di unirli, suscitando consensi ma anche critiche. Qualcuno ha parlato di forti contrasti con la russa Gazprom, presente in South Stream assieme a Eni. «Io ho solo indicato una possibile strada per mettere insieme produttori e consumatori risparmiando sugli enormi investimenti per le due opere - ha detto Scaroni -. Escludo che questo possa aver creato delle difficoltà con Gazprom».

L’ad di Eni ha infine escluso di voler procedere con grandi acquisizioni, sulle quali «l’appetito è zero».

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