Alle radici dell’islam e dei canestrelli di Lisbona con la crema pasticcera

Anche quest'anno si replica: a maggio, lunedì 2 maggio per la precisione, prenderà il largo la «Poesia», per la crociera del Giornale. E si passeranno le colonne d'Ercole per andare a dare una occhiata a quello che Colombo chiamava il Mare Oceano. Tutto ciò in buona compagnia, qual è la vostra. Come sempre, avremo occasioni di stare insieme e di scambiarci quattro chiacchiere, di conoscerci meglio e certamente di fare amicizia. Niente lo favorisce come l'atmosfera e gli ambienti confortevoli della nave, le tavolate al ristorante, gli incontri al bar per l'aperitivo o il bicchiere della staffa. Per mare è tutto un altro viaggiare: non si avverte quella vaga ma non gradevole sensazione d'essere al pari del bagaglio, come capita nei viaggi aerei. Non si viene, insomma, catapultati a destinazione, ma si apprezza l'avvicinamento graduale alle mete, il mutare della luce e, quando sottocosta, dei profili dell'orizzonte. Oggi, che il mondo ci obbliga ad andare sempre più in fretta, il viaggio per nave è come un balsamo per lo spirito.
A bordo, ne avremo di cose delle quali parlare. Non so nemmeno da dove cominciare: c'è l'offensiva dei virtuisti, dei fautori di un golpe etico con tutto il contorno di sbirciate dal buco della serratura. C'è Fini con i suoi cari Tulliani e quel cognato birichino tutto Ferrari e Montecarlo. C'è la mia più recente passione, rappresentata dal «tiket», come s'usa dire, Labindilvendola, Rosy e Nichino. E c'è il Centocinquantenario. Eh, se ne avremo da dirci sul centocinquantenario dell'unità d'Italia! Altro che Benigni. E intanto la nave andrà. Gli scali ad Alicante, Malaga e Cadice ci offriranno il destro per una ripassata alle vicende della penetrazione - e successiva cacciata - dell'islam, iniziata da quel capo berbero, Tariq, che diede poi il nome al monte, gebel il arabo e dunque Gebel al Tariq, divenuto poi Gibilterra. Belle storie. Poi, l'Atlantico, e Lisbona. Ora io non intendo sottovalutare i valori della cultura, per cui immagino che gli amici lettori imbarcatisi sulla «MSC Poesia» dedicheranno gran parte del tempo a terra alle visite ai luoghi deputati all'arte, alle meraviglie dell'architettura manuelina come potrebbe essere il Monastero dos Jeronimos, o la torre Belèm (il nome mi ricorda qualcosa di frivolo) che segna il luogo ove Vasco da Gama se ne partì alla conquista delle nuove terre. Ma io son pur sempre il presidente emerito - e a vita - del Circolo del Tavernello e pertanto a me Lisbona anche altro mi dice. Mi dice «Antigua Casa Pastéis de Belém». Antichissima, storica e rinomatissima pasticceria che regalò all'umanità i «pasteis de nata» che sarebbero dei canestrelli di pasta sfoglia e crema pasticciera cotti al forno. Leccornia unica, soave e, una volta gustata (nel bellissimo locale adornato da altrettanto bellissimi azulejos) indimenticabile. Sì, m'inchino fronte alla cultura e al turismo culturale (meno, molto meno, davanti a quello «responsabile» caro a Giovanna Melandri, la biondina «sinceramente democratica»), ma a me, presidente eccetera eccetera, Lisbona dice inoltre «bacalhau» (il baccalà, che pensiamo nostro, è dei portoghesi e come lo cucinano loro, nessuno), dice l'armonico e saldamente tevernellesco amalgama del maiale unito alle arselle, dice il «lomito pata negra», dice i «lagostìn de Cascais» e i «camãrao tigre».

Lo so, non si vive per mangiare, ma è altresì noto che ci son di quelli - e non son pochi - capaci di resistere a tutto, meno che alle tentazioni.
Bé, cari lettori, fateci un pensierino. Una bella settimana per mare, escursioni interessanti e l'occasione di stare un po' insieme, conoscerci e discorrere come fra amici. Più di una vacanza, una rimpatriata.

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