Altro che progetti culturali, l’editore deve fare soldi

da Roma

È sempre una questione di scelte. Ogni volta che si prende un libro in mano si sta toccando soltanto l’ultimo grano di un rosario. A monte di quel gesto, ricco di implicazioni di vario genere, ce ne sono tante di scelte. Facili o difficili.
La prima edizione di «Libri come», la festa del libro e della lettura diretta da Marino Sinibaldi e ospitata al Parco della Musica di Roma, non poteva non dedicare ampio spazio al come si scelgono i libri. E il pubblico dei lettori accorre numeroso se si tratta di strappare qualche segreto professionale a chi confeziona i loro «oggetti» preferiti di svago intellettuale. Alla tavola rotonda dal titolo Come si sceglie di pubblicare un libro sono quindi stati invitati tutti i capataz della nostra editoria, dai «piccoli» ai mega-manager. Ognuno con la sua storia da raccontare, ognuno portatore di valori ben riconoscibili. C’è chi non ha difficoltà a rispondere alla provocazione. È Emilia Lodigiani, «gran dama» di Iperborea: «Dietro la domanda “Come si sceglie di pubblicare un libro” c’è, almeno per quanto mi riguarda, un progetto: pubblicare gli autori di area nordica che nel nostro Paese sono trascurati se non snobbati dai tempi di Strindberg e Ibsen». C’è chi invece ha più difficoltà a rispondere, come nel caso di Gianluca Foglia della Feltrinelli: «La casa editrice, in fondo, è un’azienda. E i meccanismi sono quasi gli stessi che per gli altri prodotti». Poi si rende conto che la metafora non va giù al pubblico fanatico di scrittura e libri. E si aggrappa a Daniel Pennac. «C’è un suo racconto che mette in scena un “guardiano” e un “passatore”. Il lavoro di entrambi somiglia a quello dell’editore: portare o lasciare entrare qualcuno dalla parte opposta del confine - il libro in libreria - anche se il guardiano fa l’opposto del passatore».
Ernesto Franco di Einaudi e Sandro Ferri delle edizioni e/o provano a immaginare uno schema: il lavoro editoriale risponderebbe a tre assi di riferimento: quello etico, quello estetico/culturale e quello economico. «L’elemento economico - spiega Franco - è sempre determinante. Ed è questo che distingue il lavoro di una casa editrice dall’università». Anche l’editor (ossia colui che sostiene direttamente il lavoro creativo dell’autore) spesso è condizionato dal fattore economico. E dietro l’apparente tatto della frase «Se non fai così non incontri i tuoi lettori», c’è un’urgenza tutta finanziaria. Lo stesso Franco rivela un aneddoto che ha come protagonista Delio Cantimori, per anni consulente di via Biancamano. «In casa editrice si stava per pubblicare Il Mediterraneo di Fernand Braudel - spiega Franco -. Quando però si era già in fase avanzata ci si accorse che all’Einaudi nessuno aveva davvero letto il testo. E così venne chiesto il giudizio di Cantimori. Questi trovò il libro interessante ma troppo audace nell’uso e nel concetto di documento storiografico. Finì per dire che non era adatto all’Einaudi ma che sarebbe corso a comprarlo appena fosse stato pubblicato. Questo spiazzò tutti a via Biancamano. Forse per la prima volta l’Einaudi fece una scelta prettamente economica che si è trasformata nel tempo in una pietra miliare del progetto editoriale». Il progetto! Il progetto! Stefano Mauri, amministratore delegato del gruppo Spagnol (17 marchi editoriali tra cui Longanesi, Garzanti, Guanda e Chiarelettere), fa spallucce di fronte a questa parola. «A me interessa soltanto il gusto e il fattore finanziario». E poi, prima che qualcuno abbia la malizia di provocarlo, aggiunge: «In verità lascio totale libertà a tutti i miei editori. Non potrei fare altrimenti. Di una cosa sola mi occupo e preoccupo: il rispetto assoluto della legge. La libertà d’espressione è garantita costituzionalmente ma non bisogna abusarne». È per questo che - forse unico caso nella storia dell’editoria - i dirigenti del gruppo hanno dovuto fare un corso di aggiornamento professionale tenuto da tre avvocati sul tema della diffamazione. La differenza tra un manager e un editor è nel buonsenso e lo stesso Mauri spiega il suo ultimo progetto di scouting: «Il mio gruppo riceve 20mila segnalazioni di libri stranieri, di questi ne trova interessanti 6mila e su 200 si attiva per comprarne i diritti. Una macchina editoriale enorme». E di necessità si fa virtù. Con questi numeri è impossibile fare scouting anche per gli esordienti italiani. Allora ecco l’idea di genio: un concorso che sfrutta le potenzialità del web. Un portale www.ioscrittore.it raccoglie fino al 31 marzo i testi inediti. Per ogni testo inviato se ne ricevono quattro che vanno giudicati e rispediti all’editore. «Ci siamo stufati - ricorda Mauri - di ricevere testi di gente che dice: “Io non l’avrei fatto di mandarvi il mio testo, ma mia moglie, mia zia, il mio vicino di banco dicono che è bello”. Mai fidarsi dei conoscenti. Lasciate che a giudicare siano gli estranei». I testi più «gettonati» entreranno, quindi, in una rosa di titoli da pubblicare.
Per un grande marchio editoriale come Mondadori la ricetta è ancora diversa. «Il nostro obiettivo - ricorda Massimo Turchetta, direttore generale dell’area libri - è di prendere molto sul serio tutto il pubblico e di dare il meglio a ogni tipo di lettore: dai Meridiani ai libri di barzellette su Totti». Ad unire Rcs e Mondadori è poi un’altra filosofia: eterogeneità dei gusti. L’ufficio di una casa editrice - ricorda Turchetta - deve ricordare il bar di Guerre stellari».

È dall’eterogeneità che arriva la garanzia migliore per il lavoro da svolgere.
Insomma, di ricette non ce ne sono e anche la «politica editoriale» ha perso lo smalto delle vecchie battaglie culturali. Ora vincono il buonsenso e idee come quella di Mauri.

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