Tassi, ecco perché quelli dei mutui non scendono più

L’incertezza frena la Bce. E le banche difendono i loro profitti

Tassi, ecco perché quelli dei mutui non scendono più
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La Bce ha fermato la discesa dei tassi d’interesse, lasciandoli fermi al 2%. Ma non lo ha fatto in attesa di invertire la tendenza; né perché questo sia il limite inferiore sotto al quale non intende andare. No. Bce si è fermata per due motivi. Il primo è il raggiungimento dell’obiettivo di inflazione, al 2%; il secondo è il tema dell’incertezza generale nell’economia mondiale. (I dazi sono tra gli elementi di questa incertezza). Non a caso, tra gli analisti di politica monetaria, resta discreta (30%) la probabilità che di qui a fine anno Francoforte possa tagliare di altri 25 punti il tasso sui depositi. Dipenderà dalle dinamiche macro dei prossimi 2-3 mesi. La domanda da farsi a questo punto è: i tassi scenderanno ancora sui mercati, oppure no?

Da inizio anno la banca centrale guidata da Christine Lagarde ha ridotto il tasso di 100 punti, dal 3 al 2%: la tendenza al ribasso è stata chiara. Un anno fa il tasso ufficiale sui depositi era addirittura del 3,75%. Tuttavia, sui mercati, le cose non sono andate in parallelo. Lo dimostrano, prima di tutto, i mutui: secondo l’ultimo rapporto della Fabi - il principale sindacato bancario italiano - con i tagli della Bce i mutui sono tornati a crescere, con oltre 10 miliardi di euro di incremento negli ultimi 12 mesi (per un totale di 431,5 miliardi a maggio 2025), ma i vantaggi in termini di costi per le famiglie, si è fermata già da tempo. Da settembre del 2024 i tassi applicati sui nuovi mutui si sono stabilizzati ben al di sopra dei livelli del tasso di riferimento della Bce, fermandosi tra il 3,6% e il 3,9%, contro l’attuale riferimento del 2%. In soldoni significa che per un mutuo una banca chiede ai propri clienti il 3,9% quando il costo per la provvista del capitale è invece del 2%. La differenza, anziché trasferirsi almeno in parte in minori rate dei mutui, alimenta i profitti delle banche. Secondo il report Fabi, il dato di maggio (ultimo disponibile) segna la media del taeg (tasso annuo effettivo globale) al 3,59%. Ne deriva che lo spread tra tasso Bce e interessi bancari è salito a 158 punti base dal livello zero raggiunto nel settembre scorso, quando le banche avevano addirittura anticipato i successivi tagli di Francoforte. In altri termini, la stessa incertezza che impone oggi la prudenza alla Bce viene gestita dalle banche (e dal mercato) in modo analogo: vediamo cosa succede ai dazi e allemguerre, poi si vedrà.

Nel commentare i dati del report il segretario generale della Fabi ha messo il dito nella piaga: “Servono strumenti concreti per prevenire l’indebitamento eccessivo più trasparenza nelle condizioni contrattuali e un intervento pubblico deciso potenziando le garanzie pubbliche”. Il tema è infatti quello delle distorsioni del mercato.

I meccanismi di trasmissione delle politiche monetarie sono un po’ come i prezzi del petrolio rispetto a quelli della benzina: funzionano bene quando sono all’insù, meno bene quando si muovono a beneficio del consumatore.

I mercati si muovono con logiche speculative e tempi imprevedibili, ma è con questi che bisogna sempre fare i conti. E quando l’orizzonte è dominato dall’incertezza, a pagarne il prezzo sono sempre i più deboli.

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