Per gli alunni va in scena il «dittatore» Berlusconi

Capita. A volte capita. Si va a teatro, nel caso specifico il Teatro delle Arti di Gallarate, convinti di assistere a un determinato spettacolo e poi si torna a casa delusi, amareggiati e persino discretamente furiosi per aver visto tutt'altro. Per essere stati raggirati. Capita, anche se non dovrebbe capitare, ma è capitato, che la mattina del 9 Marzo, 350 tra studenti e professori del liceo scientifico Leonardo da Vinci si presentino accompagnati dal solito festoso chiacchiericcio che nasce dalle occasioni che regalano la possibilità di star fuori dai banchi, per assistere ad «Animal Farm». Che poi sarebbe la celebre «La Fattoria degli animali» di George Orwell, azzeccata allegoria satirica del totalitarismo sovietico ai tempi di Stalin, proposta in lingua originale dalla compagnia Palkettostage della vicina Busto Arsizio.
Un'ottima opportunità didattica, almeno così veniva annunciata, non solo per approfondire la conoscenza della lingua inglese ma anche per offrire ai ragazzi un quadro realistico delle sciagurate conseguenze che i regimi dittatoriali si sono sempre e puntualmente portati appresso ogni qualvolta hanno attraversato il mondo. Così, giusto per ribadire il concetto, quando la rappresentazione finisce vengono proiettate in successione, con la tecnica della dissolvenza, le immagini di molti loschi figuri: da Stalin a Hitler, da Saddam Hussein a Silvio Berlusconi. Sì avete letto bene. Anche l'immagine del nostro presidente del Consiglio finisce in coda a quella pessima compagnia messa lì, chissà come e perché, dall'altra strana compagnia, quella teatrale. Mentre i ragazzi sciamano dalle Arti, qualcuno indifferente annoiato e qualcun altro un po' basito da quell'epilogo surreale, arrivato giusto prima che il sipario calasse, cominciano i primi rumors. E non appena gli studenti rientrano a casa e raccontano arrivano anche le prime telefonate alla preside del Leonardo da Vinci, la professoressa Luisella Macchi, colta lei per prima in contropiede. E quindi notevolmente inferocita. I rumors aumentano e ci mettono un niente a compiere quei cinque chilometri che separano Gallarate da Busto Arsizio e ad arrivare sul palcoscenico della Palkettostage. Che a sua volta ci mette un niente a far recapitare già il giorno dopo ad ogni singolo studente-spettatore di quell'opera così maldestramente deragliata nel finale, una lettera di scuse. Lettera che il signor Paolo Borlin, genitore di uno studente di quarta scientifico ci ha voluto cortesemente girare. Nella lettera la direzione di Palkettostage sostiene «che un'immediata indagine interna ha portato ad appurare che la proiezione di quella diapositiva è stata frutto di un'azione estemporanea di un dipendente assunto da poco e addetto alle luci e alla messa in onda delle immagini. Un dipendente contro il quale verranno prese le opportune misure disciplinari perché con il suo comportamento ha infangato l'immagine la passione di chi come noi svolge il proprio lavoro con onestà intellettuale». È un discorso di immagini, insomma. Sbagliate da qualunque parte le si guardino. E pare francamente improbabile, come sostiene il signor Borlin in una lettera che ha indirizzato a sua volta ad altri genitori e alla direzione scolastica «che proprio l'immagine del presidente del Consiglio sia uscita dal proiettore in modo estemporaneo.


Al contrario quella d'infilarla furbescamente con veloce effetto dissolvenza, in modo subliminale, tra le immagini di dittatori è una tecnica tipica per influenzare le coscienze in quei regimi dittatoriali che proprio l'opera intendeva criticare».

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