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Ambrosini e uno striscione per condanna

S arà sempre quello striscione. A ogni derby, Massimo Ambrosini si sentirà rinfacciare l’offesa all’Inter. Nessuno ricorda le scuse, né la sua faccia da bravo ragazzo. Le mani che reggono lo stendardo sì, e pure lui che saltella a ritmo di un coro offensivo. Milan-Inter, ancora. Milan-Inter, sempre. Il derby è suo forse più che di molti altri, per colpa di quell’«incidente» e perché lui è uno da partite così: complicate, combattute, difficili, fondamentali. I punti, i gol, i falli, la fatica e la corsa: quando arriva la sera di San Siro, tocca a questi qua, che non sono appariscenti come Ibra e Kakà. Massimo non si vede tanto per il ruolo e per il carattere, schivo anche quando potrebbe essere sbruffone, riservato anche quando potrebbe essere gradasso. Per questo quello striscione anti-Inter non potrà essere dimenticato: fatto da uno come lui resta di più. Destino, forse. Il destino che lo porta adesso a giocare un altro derby dopo che troppi gliene aveva fatti saltare per infortunio. Perché Ambrosini è un tipo da combattimento, ma questo non gli ha mai garantito l’immortalità. La vita gli ha regalato un fisico delicato e una carriera sfortunata: quante volte s’è fermato nel momento migliore? Ha perso il conto e ha perso anche qualche treno.
Il Milan l’ha pescato e l’ha ritirato su ogni volta, l’ha rimesso in mezzo al campo, a prendere gomiti in faccia e tacchetti sui polpacci. Le dà, Massimo. Poi salta, colpisce, segna. Quanti ne ha fatti? Tanti per essere un centrocampista. Pochi all’Inter, però. È un cruccio, anche se non lo dice, perché adesso ogni volta che gli chiedono di spiegare la sua rivalità, si trova in imbarazzo. Maledetto pullman scoperto che portò il Milan campione d’Europa in giro per Milano dopo la notte di Atene. Deve dimenticare, deve giocare. Dev’essere se stesso, timido e forte. Senza le copertine, perché tanto non gliene dedicano neanche una (tranne quella volta, ovviamente). A 32 anni, Ambrosini ha un futuro da capitano troppo breve per fargli credere di essere davvero nella storia del Milan. Sarà lui a prendere la fascia quando Maldini smetterà, però sarà troppo grande per godersela a lungo. Come con la Nazionale: Donadoni l’aveva ripreso e rimesso nel giro, Lippi l’ha fatto fuori per primo esattamente come aveva fatto nel 2006. Questione di gusti. Ancelotti non lo cambierebbe con nessuno: è stato lui il primo a volerlo sempre aspettare alla fine di ogni infortunio. Pensa che sia fondamentale, come Gattuso, forse più di Gattuso.

Con l’Inter ha qualche dubbio: una o due punte, Ronaldinho dentro o fuori. Non c’è un solo pensiero su Massimo. Ci sarà, ovvio. Col centrocampo a tre, con quello a quattro, con l’albero di Natale. Cambia tutto, oppure non cambia niente: Ambrosini gioca, anche se magari non si vede.

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