Amnesty, la filantropia antiumana

Amnesty, la filantropia antiumana

Mario Palmaro

E ora cosa faranno tutti quegli oratori, quelle parrocchie, quei centri culturali venuti su a diritti umani, bandiere della pace, nessuno-tocchi-Caino e canzoncine di Cristicchi? Cosa faranno adesso che il coro delle voci profetiche di riferimento ha perso un pezzo da novanta come Amnesty International?
Il cardinale Martino, presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, ha gettato un sasso nello stagno del cattolicesimo politicamente corretto invitando i cattolici di tutto il mondo a sospendere qualsiasi forma di sostegno e di finanziamento ad Amnesty. L’associazione, fondata nel 1961 da Peter Benenson, convertito al cattolicesimo, ha deciso di sostenere la diffusione dell’aborto procurato nel mondo, promuovendone la depenalizzazione in quei Paesi che ancora vietano questa pratica.
Molti cattolici hanno storto il naso davanti alle dichiarazioni del cardinale. Da tempo in molte parrocchie, in non poche scuole cristiane e istituti religiosi, sui giornali di area si procede a una capillare azione di sostegno a favore di alcune organizzazioni filantropiche. Unicef, Wwf e Amnesty International sono le più gettonate, ma anche quelle segnate dallo stesso destino: tutte sono state censurate dalla Santa Sede per il sostegno a politiche demografiche disinvolte, fra cui anche il cosiddetto «aborto sicuro».
Il giro di vite, già cominciato sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, prosegue nell’era di Bendetto XVI. Siamo di fronte a una svolta: la Chiesa prende le distanze da quel filantropismo antiumano che, magari, difende i pluriomicidi dalla sedia elettrica, ma vuole favorire l’eliminazione legale di innocenti, colpevoli solo di non essere ancora nati. Dopo anni passati a scendere in piazza a fianco di coloro che si battono affinché «nessuno tocchi Caino» nel mondo cattolico pare che cominci a mettersi meglio il povero Abele.
Eppure Amnesty fa tanto bene, si ostinano ancora a dire molti cattolici. Bene, allora si immagini un cittadino condannato a morte. E che sia giustiziato senza un regolare processo, senza un avvocato difensore, senza poter pronunciare parola a propria discolpa, senza l’ombra di una giuria chiamata a pronunciarsi.
E che il capo di accusa non sia un reato, ma la condizione stessa in cui si trova: l’essere, per esempio, un dissidente politico, un ammalato, un handicappato, un indesiderato, un ingombrante fardello in un mondo dove anche occupare un posto è diventato un problema. Chi meglio di Amnesty International potrebbe denunciare l’orrore di un simile delitto di Stato? Chi meglio potrebbe ergersi a paladino di questo essere umano condannato a morte senza l’ombra di un regolare processo? Probabilmente nessuno, diranno ancora molti cattolici cresciuti con il paraocchi della correttezza politica.
Amnesty International, come ha rilevato il cardinale Martino, ha deciso ufficialmente di abbandonare al loro destino gli involontari protagonisti di questa ingiustizia sommaria. Perché quel condannato di cui parlavamo presenta proprio le caratteristiche dell’unborn, dell’essere umano non ancora nato: non ha fatto nulla di male, non è colpevole se non di esistere, non è sottoposto a regolare processo, né è previsto che qualcuno lo difenda nel dibattimento. Insomma: il concepito d’uomo minacciato di aborto procurato sarebbe il destinatario perfetto delle preoccupazioni filantropiche di Amnesty, che preferisce stare dalla parte dei più forti quando in gioco c’è la vita di un essere umano innocente, ma invisibile.
Non solo. Amnesty è nel novero delle organizzazioni pro-aborto che operano nel mondo e lo fa sulla base di motivazioni «classiche»: i casi di stupro o di «gravidanza forzata» (forced pregnancy), espressione coniata dalla stessa Amnesty, e il fatto che secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità ogni anno 68.000 donne abortiscano in situazioni sanitarie carenti.


Argomenti seri, non c’è dubbio, ma non basta a giustificare l’uccisione di un innocente, che non ha alcuna colpa per il male che sua madre ha patito. Perché proprio di un innocente si tratta, nonostante le elucubrazioni filantropiche di Ammesty International: che, a forza di essere filantropiche, finiscono per partorire un pensiero antiumano.

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