«Amo i set violenti, come papà David Lynch»

Jennifer, la figlia del regista, immobile per due anni dopo un incidente, racconta il poliziesco «Surveillance» scritto in ospedale

da Parigi

Jennifer Lynch, la 40enne regista figlia di David (autore di Twin Peaks e The Elephant Man) è tornata al cinema, nonostante la brutta accoglienza riservatale dalla critica per Boxing Helena, con Surveillance, violentissimo, venato d’umorismo e romanticismo nero: in primavera era al Festival di Cannes, in autunno uscirà in Italia. Ora Jennifer, tatuaggi, caschetto e vestiti da ragazzo mancato che ne esaltano la bellezza, sta scrivendo Nagin, il suo prossimo film.
Jennifer, come è nato Surveillance?
«In ospedale, dopo il mio incidente d’auto, con la colonna vertebrale spezzata, immobile per due anni e mezzo. Allevando mia figlia da sola, non volevo farmaci che stordissero. La mia anestesia è stato immaginare i personaggi».
Il suo rapporto con la morte?
«Non voglio morire, ma non ho paura. Non voglio sopravvivere a mia figlia».
In Surveillance c’è molta violenza. Perché?
«Nessuno è stato crudele con me se prima non era stato ferito. Il circolo vizioso m’incuriosisce. La crudeltà è faticosa, ma è un modo di liberarsi dalla sofferenza. Perciò nel film c’è la bambina: la finirà con la violenza?».
Personaggio ambiguo: i crimini non paiono traumatizzarla.
«Somiglia a mia figlia Sydney, che è così forte. Sull’ambulanza mi confortava: “Ce la farai, mamma”. Ego, apparenza, giudizio altrui non appannano i bambini. Il peggiore criminale, una volta, era come la bambina».
Fra i poliziotti di Surveillance regna il machismo. Lei è femminista?
«Femminismo è un parolone che suggerisce collera. Io non sono in collera».
Surveillance esce a quindici anni dal flop Boxing Helena.
«Per due anni sono stata male. Mi sentivo giudicata per il cognome, senza avere la mia possibilità. Cominciando un romanzo, ho trovato uno scudo».
Poi è nata sua figlia Sydney.
«Ed è diventata prioritaria».
Sydney ha visto Surveillance ?
«Sì. M’ha aiutato a coglierne le debolezze. Sono la figlia di David Linch: Sydney è sua nipote. S’adorano, sebbene lui non si faccia chiamar nonno».
Tutti creativi in famiglia.
«Abbiamo imparato a osare. Quando si tratta di lavoro, mio padre non rende conto a nessuno. Io non sono così libera, anche se progredisco».
Il giudizio di suo padre su Surveillance?
«L’ha prodotto. M’ha chiesto d’ingrandire il suo nome nei titoli: meraviglioso complimento».
Lei pratica la meditazione, come suo padre?
«Dai sei anni. M’ha aiutato a superare il divorzio dei genitori e a trovare il senso della vita. Ammiro mio padre: ci vuol coraggio, per raccomandare la meditazione e difendere la pace nonostante chi ti prende in giro».
Lei ha detto che sua madre, Peggy Reavey, l’ha influenzata quanto suo padre.

Che cosa ammira in lei?
«La capacità di meravigliarsi. È di una freschezza infantile, come se procedesse nella vita con una corda per saltare».
Progetti?
«Una commedia musicale adattata a una leggenda indiana».

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