È anche il crollo del sistema americano

Il voto del Congresso americano che ha bocciato il piano Paulson è una sconfitta per George W. Bush ma è anche qualcosa di più e di diverso. In questi mesi, infatti, non è crollato solo il sistema finanziario americano. È venuto meno un sistema politico apparentemente imperniato su due sovrani democratici, il presidente ed il Congresso, ma in realtà governato da molte lobbies locali e nazionali. L'inesistenza dei partiti di tipo europeo, quelli cioè strutturati con militanti e dirigenti, espone deputati e senatori americani a pressioni continue di lobby di ogni tipo. Il loro intreccio e il loro diverso schieramento sembrano comunque garantire un equilibrio democratico. Partito leggero, per non dire assente, e lobbies numerose e potenti possono dunque, in tempo di pace, dare l'impressione di un governo democratico della società americana. Davanti ad una crisi di proporzioni notevoli però quell'equilibrio si mostra in tutta la sua fragilità e spesso va in frantumi perché è un equilibrio basato sul potere e non su di una visione politica dei bisogni, dei diritti e dei doveri della sanità.
Ma non è tutto. Senza il filtro dei partiti quell'equilibrio basato sull'intreccio tra lobbies e singoli parlamentari o singoli gruppi genera nella vita della società americana quei fenomeni finanziari e sociali che sono lontano mille miglia dalla più solida democrazia europea. Negli ultimi anni infatti sul piano finanziario sono accadute cose che un governo non intossicato dall'installazione continua di gocce di veleno lobbistico non avrebbe mai consentito. La totale libertà che la Sec (l'autorità di controllo sulle borse) e la stessa Federal Reserve hanno concesso alle banche di affari e alle stesse banche commerciali facendole sbizzarrire nel perverso circuito finanza creativa e volatile, profitto immediato-stock options, ha prodotto prima lo scandalo sub-prime e poi il crac che stiamo vedendo ogni giorno. Uno scandalo che segue quelli di alcuni anni prima (Enron e World Com) quando la collusione tra amministratori, banche e agenzie di rating bruciarono miliardi di dollari di risparmiatori americani.
Insomma un sistema finanziario in cui c’è licenza di operare con scarsissime regole non è il trionfo della libertà ma quello del libertinaggio finanziario con tutte le sue degenerazioni. Le scorribande a Wall Street, dunque, come le vecchie praterie dell’ovest dove, però, non ci sono più bufali da cacciare ma solo risparmiatori da tosare. Quanti sostengono che sarà il mercato a far pulizia dopo che lo stesso mercato ha prodotto le bolle immobiliari, i mutui sub-prime, i derivati e i tanti strumenti sofisticati e volatili in giro per il mondo, dimenticano una piccola insignificante cosa. Quel produrre guasti e risanarli non è l’esercizio di una libertà né tampoco è il mercato. Esso è solo il continuo perenne esercizio di chi si arricchisce a danno di altri che vedono bruciati i risparmi di una vita. Nella giungla vige la legge del più forte ma in una democrazia moderna la libertà di ciascuno è limitata da quella degli altri e dalla tutela di alcuni valori come il risparmio e la difesa dei ceti più deboli. Non è un caso che proprio negli Stati Uniti vi siano 50 milioni di americani privi di assistenza sanitaria perché poveri. L’America per gran parte del mondo è la patria del libero mercato, della tecnologia, delle opportunità e vederla governata da quell’intreccio soffocante tra politica e lobbies lascia sgomenti. Quell’intreccio così forte mina alla base quel primato della politica che può esercitarsi solo se si ha una cultura politica di riferimento in un sistema di partiti «pesanti» in grado di ammortizzare le pressioni indebite delle lobbies economiche e finanziarie non lasciando soli i singoli deputati e senatori. È questa la democrazia politica. Diversamente la visione politica dei governi e del Congresso sarà sempre subalterna ai grandi interessi senza mai poterli ricomporre in un progetto utile per tutto il Paese. Anche la votazione dell’altro giorno testimonia lo scontro di interessi tra lobbies che ha diviso entrambi i gruppi parlamentari. È stato un errore di Bush chiamare alla carica di segretario del Tesoro quell’Henry Paulson per anni capo della Goldman Sachs che, nel momento cruciale, ha bruciato e affondato i suoi concorrenti della Lehman Brothers mentre ha salvato tutti gli altri.
Insomma, è la crisi del modello americano sul piano politico oltre che su quello finanziario e il suo contagio rischia di diffondersi non solo sulle Borse europee ma anche nei sistemi politici del vecchio continente.

Quanti fra economisti e politici (vedi Veltroni) volevano proporci quel modello di vita istituzionale e politico da domani in poi avranno di che riflettere. Vedremo se la crisi di Wall Street sarà come il colpo di Pearl Harbor che rilanciò il meglio della forza e della saggezza americana.
ilgeronimo@tiscali.it

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