«Anche l’Occidente è pronto per lo yoga»

Trentadue anni, un passato da lottatore kung-fu, Perumal Koshy è arrivato alla yoga per vie misteriose: in un bar di Los Angeles venne avvicinato da un tipo bizzarro che gli predisse una luminosa carriera spirituale. Poi ebbe sogni e visioni dell’Italia e infine, dopo la California e Londra, eccolo qui, indiano magnetico e muscoloso con il laptop in borsa per lanciare email ai quattro angoli del globo che ospitano le sue attività (vedi il sito www.yogawithperumal.com). Quando è di passaggio a Milano tiene corsi al San Babila Sport Club, lo si trova spesso al Chocolat di via Boccaccio o al Leopardi Tredici, il locale dietro la Stazione Cadorna, dove ha lanciato un happy hour a base di yoga.

Chi sono i suoi allievi?

«Dalla giovane modella alla baby-sitter, dall’uomo d’affari settantenne che non ha mai praticato yoga alla cameriera immigrata. Nei miei corsi trovi di tutto: artisti, gay, divorziati. E una singolare presenza maschile: circa il trenta per cento dei partecipanti sono uomini».

Lo yoga fa tendenza…

«Qualcuno sa che Julia Roberts e Sting praticano yoga, qualcuno ha il miraggio degli addominali scolpiti. Ma nello yoga non inseguiamo modelli estetici».

Che parte ha l’addestramento fisico nello yoga?

«Armonizza i vari sistemi - immunitario, ormonale, nervoso - e riduce lo stress, sicché la circolazione sanguigna migliora, il cervello funziona meglio. L’equilibrio fisico permette di fare esperienza dell’aspetto spirituale dell'esistenza».

Pensa che gli occidentali siano pronti per lo yoga spirituale?

«Sono pronti per una pratica che porti in equilibrio il corpo e la mente, che integri le emozioni. Come risultato accederanno più facilmente allo stato meditativo e alla esperienza spirituale».

Avverrà comunque?

«Direttamente o indirettamente. A volte in modo sorprendente. Non ero seduto nella postura del loto sull’Himalaya, ma al tavolo di un bar di Los Angeles, davanti al mio computer portatile, quando ho incontrato quell’uomo che mi ha predetto il futuro».

E una volta che l’esperienza spirituale accade?

«Ci vuole sufficiente coraggio per seguirne le indicazioni».

Mi dice una ragione sufficiente per vivere a Milano?

«Milano era al centro della mia visione. Vivere qui è una esperienza culturale profonda che mi permette di crescere come uomo. Certo a Los Angeles avrei fatto più quattrini insegnando yoga, però sono qui. Ecco perché le dicevo che ci vuole coraggio».

Quindi c’è ancora Milano nel suo futuro?

«Viaggio molto, ma torno sempre. Mi sembra di aver passato gran parte della mia vita a trovare un posto così dove vivere e insegnare. Ricordo ancora la prima volta che ho attraversato piazza del Duomo e mi sono detto: eccomi a casa. Ci sono state molte case nella mia vita, ma nessuna è come questa».



Infine lei si sente più indiano, americano o europeo?

«Non potrei definirmi indiano anche se vedo l’indiano in me, e nemmeno americano, anche se vedo l’americano in me. Ultimamente vedo anche l’italiano in me: sono più disponibile a farmi una sana risata davanti ai problemi della vita!»

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