Anche Obama impara la lezione e fa il liberista

di Paolo Del Debbio

E gira che ti rigira dopo l'ora d'aria più o meno socialista bisogna tornare nella cella liberista. È quello che sta succedendo a Barack Obama. Prima il sogno, grazie al quale ha vinto, poi la realtà, per rilanciare l'economia e l'occupazione. Sulla strada del realismo torna l'antica ricetta liberista. Con tanta spesa pubblica si acquista un consenso temporaneo, si tappano i buchi ma non si rilanciano l'economia e l'occupazione. Prima la spesa, ora i tagli, annunciati nel discorso sullo stato dell’Unione che apre pure a sgravi fiscali alle aziende.
Paul Ryan, 41 anni, il giovane deputato che presiede la Commissione bilancio della Camera degli Stati Uniti, glielo ha detto chiaramente: per rilanciare economia e occupazione occorre l'accetta. La ricetta della spesa pubblica si è rivelata fallimentare: il debito cresce e l'occupazione non riparte. Usare l'accetta vuol dire tornare alla libertà d'impresa e ad un governo che si limita nei suoi interventi. Meno sogno, più disciplina.
Se queste cose le dice un repubblicano americano si tratta della ricetta liberista che vuole affamare i poveri e salvare i ricchi. Se le dicono il capo della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, o il capo degli economisti del Fondo monetario internazionale, Olivier Blanchard, allora si chiama buon senso. Ma prima di decidere se sia liberismo o buon senso forse sarebbe il caso di accettare una volta per tutte che questo è il funzionamento delle libere economie di mercato. Con troppa spesa pubblica, cioè troppo al di sopra delle entrate, l'economia collassa. Non ce la fa, non riparte.
Vedete quello che è successo a David Cameron in Gran Bretagna. Ha dovuto tagliare 500mila posti di lavoro pubblici e fare tagli per 83 miliardi di sterline, quasi 95 miliardi di euro, 180mila miliardi delle vecchie lire. Roba che in Italia mobiliterebbe anche gli esseri inanimati.
Sia Cameron dal governo che Ryan dall'opposizione hanno fatto lo stesso paragone: Usa e Gran Bretagna fanno un passo indietro dal baratro.
Tra l'altro, come ha ribadito il direttore generale del Fmi, Dominique Strauss-Kahn, il traino della crescita verrà, se verrà, dagli Usa e dai Paesi emergenti, trainati da Cina, India e Brasile. Per questo a noi interessa molto quanto ha detto Ryan in risposta a Obama: se gli Usa ricominciano a crescere va meglio anche per noi. La crescita del Pil mondiale del 2011 dovrebbe attestarsi a un +4,5%, perché le economie emergenti cresceranno del 6,5% mentre le economie industrializzate (tra le quali c'è anche l'Italia) di un più scarso 2,5%.
La vulgata del liberismo non conta. Il liberismo vero, dati alla mano, dimostra da vari decenni che le economie con meno spesa pubblica corrono di più e che le economie che tagliano la spesa eccessiva nel breve termine tornano a crescere. Capiamo che spiegare questo in Italia è difficile come volare, ma tant'è.
I governi che tagliano sono sotto accusa. I tagli decisi non piacciono neanche nel Regno Unito: criticare un politico che taglia è il giochetto più facile del mondo. Il Pil degli inglesi è calato dello 0,5% negli ultimi tre mesi del 2010 e i laburisti, un secondo dopo, hanno attribuito la colpa ai tagli di Cameron. Qui da noi il governo avrebbe cominciato subito a convocare tavoli e sottotavoli.

Là i conservatori hanno risposto che la ricetta è giusta e che ci vuole tempo perché funzioni. Lo sapeva anche Blair, che poté spendere perché la Thatcher aveva risparmiato. L'economia funziona così: in questo risiede la forza della ricetta liberista. Salviamo il repubblicano Ryan.

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