Controcultura

Anche su Marte è atterrato il pericolo rosso

Sarà impopolare, ma il presupposto è semplice: se hai una figlia di 12 anni in piena pubertà non stai via tre anni per andare su Marte con il 50 per cento di possibilità di non tornare.

Anche su Marte è atterrato il pericolo rosso

Sarà impopolare, ma il presupposto è semplice: se hai una figlia di 12 anni in piena pubertà non stai via tre anni per andare su Marte con il 50 per cento di possibilità di non tornare. Se hai questo tipo di aspettative eroiche è meglio rinunciare alla famiglia, soprattutto (qualcuno si arrabbierà, pazienza) se sei una donna, perché è dimostrato che le ragazze adolescenti hanno bisogno della madre e un surrogato non è possibile. Se in più a tuo marito, astronauta pure lui, meno bravo, meno fortunato, viene un ictus per lo stress, sarebbe carino invertire la marcia dal pit stop sulla Luna e riprendere la strada di casa.

Direte che è un attacco maschilista alle ambizioni di carriera di una donna: no, semplice buon senso che troppo spesso agli autori di fiction difetta. Immaginatevi poi, non è una barzelletta, la spedizione internazionale su Marte comandata da Emma Green, interpretata dalla brava Hilary Swank. Donna, americana, accanto a lei un equipaggio che più misto non si può. Il russo duro come la pietra e freddo come la Siberia, l'indiano simpatico al quale piace Cristiano Ronaldo, la cinese enigmatica e silenziosa, l'africano di origine ebrea piuttosto tremebondo, forse perché inesperto. Giusto bilancino tra etnie che non scontenta nessuno, ma esclude l'Europa occidentale, a dimostrazione che nell'equilibrio mondiale non contiamo più una cippa. Tutto sembra funzionare, finché dentro la navicella spaziale cominciano i primi contrasti. E indovinate chi «mobbizza» la comandante Emma? Il fronte compatto Russia e Cina, dando ragione a chi sostiene che i comunisti sono sempre i soliti, inquadrati, infidi e opportunisti (nonché misogini). D'altra parte la clausura forzata per tre anni è il peggiore degli incubi, nonostante la grandezza della missione, ché andar su Marte non è mica una passeggiata domenicale alla Sbarua nei pressi di Pinerolo.

Questo, insomma, l'incipit di Away, prima stagione in dieci puntate su Netflix di un affascinante kolossal space-movie dove le cose migliori risultano le bellissime immagini esterne, che somigliano parecchio a quelle di Gravity, dove progressiva sale la suspense. La fantascienza però si ferma qui, gli appassionati sono avvertiti. Il resto è la solita commedia, se non addirittura soap opera, che a questo punto potrebbe essere ambientata nel vecchio West o in Amazzonia, nella City londinese, nel futuro o nel passato. Il centro delle questioni rimane ancorato sulla vecchia Terra: più importante la famiglia o la carriera? E quanto sulla scelta pesano le rivendicazioni femministe? O forse l'impresa spaziale non è altro che una fuga dalle solite beghe - mariti/mogli, figli, amanti, infelicità, segreti? Solo che per parlare di questi argomenti non c'è bisogno di andar così lontano.

Trionfo del privato a parte, Away è un prodotto ben fatto con punte di tensione altissima e si inserisce nel revival spaziale cine-televisivo oggi in voga.

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