«La prova che Marrazzo andava coi trans già nel 2005, e che quindi noi non c’eravamo inventati alcun “servizietto” per incastrare l’ex giornalista a letto con un viado, è nel faldone processuale 1023587, pagine 48, 56 e 57. Lì c’è la memoria a mia firma dove racconto tutto di Marrazzo e del transessuale. Lì c’è la verità, anche se poi, stranamente, sui giornali, è stata veicolata la favola del trappolone politico quando tutta Roma sapeva che Marrazzo andava con quel tipo di persone lì...». Tutto d’un fiato. Pierpaolo Pasqua, l’investigatore privato finito sotto processo nel Laziogate con l’accusa d’aver investigato contro i nemici di Storace (Mussolini e Marrazzo) alle regionale del 2005, tira fuori le carte e sbotta. «Il tempo è galantuomo. La verità è venuta a galla».
Scusi Pasqua, ma a lei i magistrati non hanno contestato il tentativo di incastrare Marrazzo con un trans?
«Macché, mai. Sono stati alcuni giornali a veicolare una simile storia. La realtà è ben altra».
Qual è la realtà alternativa?
«Non ho spiato Marrazzo, non l’ho pedinato, non ho tramato per incastrarlo. Ho solo svolto alcune indagini per scongiurare un’ipotesi di spionaggio nei confronti di Storace e per vedere se c’era una liaison fra i comitati di Marrazzo e della Mussolini a causa della raccolta e dell’autentica delle firme per il partito Alternativa sociale. La rilevanza politica era evidente poiché vi era il sospetto che le firme fossero false, e che gli uomini di Marrazzo aiutassero il partito dell Mussolini...».
E il trans di Marrazzo com’è uscito fuori?
«In modo incidentale. A forza di lavorare, di chiedere, di curiosare qua e là tra i frequentatori dei comitati elettorali, è spuntata fuori questa storia del transessuale che si vedeva spesso con Marrazzo. Diciamo che la notizia è venuta da noi, non siamo andati noi a cercarla. Ci siamo limitati a raccogliere voci che, del resto, giravano da un sacco di tempo. Non è stato difficile sapere come si chiamava questo trans e dove lavorava...».
Era Natalì?
«No. Si faceva chiamare Veronica. Esercitava la professione in due diversi appartamenti: uno sulla Cassia, credo proprio fosse in via Gradoli, e un altro nel quartiere della Trionfale (quello della compagnia dei carabinieri dove prestavano servizio i quattro militari arrestai, ndr). Avevamo avuto informazioni precise ed anche un numero di telefono che abbiamo verificato a chi era intestato. Dopodiché, com’è dimostrato processualmente, quel materiale non è stato utilizzato perché non ci interessava la vita privata di Marrazzo. Il nostro obiettivo, ripeto, era scoprire l’impiccio delle firme».
Nella sua memoria depositata al processo cosa scriveva?
«Testuale, leggo: che nel 2005, in “un’occasione abbiamo visto filmato Marrazzo entrare e fermarsi brevemente al comitato elettorale. Non ho seguito nessuno, tantomeno Marrazzo, non abbiamo rilevato tabulati telefonici né operazioni bancarie di nessuno, tantomeno di Marrazzo. Durante l’operazione - leggo ancora - ci è stato riferito che Marrazzo frequentava un travestito a Monte Mario di nome Veronica. Da una telefonata fatta abbiamo appurato l’esistenza di un trans, Veronica e la sua attività di travestito. Non abbiamo mai approfondito tale informazione per non violare la sfera personale di Marrazzo. L’operazione è terminata il giorno prima delle elezioni”».
Nessun ricatto, dunque.
«Ma quale ricatto. Non c’è mai stata contestata l’estorsione, sull’argomento i Pm non si sono soffermati più di tanto».
Eppure sembrava che tutto ruotava intorno a questo tentativo di
«La riprova che sono stupidaggini è che nessuno ha mai utilizzato quelle informazioni in campagna elettorale. Ricordatevi che noi siamo stati arrestati un anno dopo l’elezione di Marrazzo».
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