Piera Anna Franini
È nato a Varsavia (nel 1969), in una famiglia polacco-ungherese. Vicende familiari e poi gli studi lhanno condotto a Lione, Strasburgo, in California e poi di nuovo a casa, in Polonia. Parla correntemente tre lingue: in aggiunta allinglese dobbligo, polacco, ungherese e francese. Il suo nome è associato allultimo Beethoven, quello delle Bagatelle e delle Variazionio Diabelli, e a Bach: due autori con cui giocò la carta dei primi concerti e dei debutti discografici. La composizione che più sente vicina alla sua sensibilità è Masques op.34 di Szimanowski.
Difficile ricavare un ritratto di Piotr Anderszewski, pianista dalle quote in ascesa, vincitore, nel 2002 del «Gilmore Artist Award»: ambitissimo premio equivalente a 300mila dollari, praticamente un trampolino doro. Artista che per questo e altri motivi (nel 1990 troncò lesecuzione delle Variazioni di Webern lasciando di sale la commissione del «Concorso Leeds») finisce spesso per far parlare di sé.
Aderszewski sarà a Milano questa sera (ore 21), in Conservatorio, per un recital straordinario per le Serate Musicali che recuperano, così, il concerto mancato del 3 marzo. Il programma riassume i percorsi di questo pianista che apre con il prediletto Bach (Ouverture in stile francese BWV 831), fa una sosta dobbligo con Masques e chiude con lo Chopin di tre Mazurche op.59 e la Terza Sonata op.58.
Anderszewski ha fatto del disincanto una filosofia di vita. Sorride quando narra lepisodio del «Concorso Leeds» postillando con un: «La maggior parte dei membri della giuria non si accorse che mi ero fermato». Va da sé quale sia la sua opinione sullefficacia dei concorsi. Anderszewski ama non prendersi sul serio, appena può sfodera la sua ironia... a tratti corrosiva, un po alla Satie.
Scherza, ad esempio, sulla sua natura che mirabilmente concilia loriginalità ma pure certa rudezza dellanimo ungherese con tratti, che lui definisce «più dolci», dellessere polacco. E racconta: «Sono cresciuto in Polonia dove mia nonna mi raccontava storie di eroismi legati alla Seconda guerra mondiale. I polacchi vivono un paradosso: lanimo è slavo ma la cultura è occidentale, ciò può risultare problematico. Io stesso avverto questo paradosso» è la confessione.
A Anderszewski piace il racconto gustoso, e se può lo tinge di leggenda. Così narra il suo primo incontro con Sviatoslav Richter, pianista sommo. «Era come un dio per me. Lo incontrai nel 1991 a Varsavia. Poiché volevo osservarlo durante le prove, mi posi dietro le quinte letteralmente sdraiato sul pavimento. Quando arrivò non sfiorò minimamente il pianoforte. Però lindomani, disse che aveva bisogno di qualcuno che gli girasse le pagine.
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