Cronaca locale

Andrée Ruth Shammah «Al teatro Parenti una nuova Accademia»

«Fra trent’anni la nostra creatura verrà ricordata al pari del Piccolo»

Igor Principe

«Io sono cresciuta con l'idea che l'intellettuale debba essere scomodo, non appiattito sul sistema». Ascolti Andrée Ruth Shammah e pensi ti stia parlando di Pier Paolo Pasolini, cuore di un progetto del Teatro Franco Parenti dal titolo Celebrato o tradito?: in questi giorni, Fabrizio Gifuni è in scena a Palazzo della Ragione con lo spettacolo 'na specie del cadavere lunghissimo; oggi, prima che si apra il sipario (ore 18.30) Anna Galiena chiude il ciclo degli incontri collaterali alla pièce con Lettera a Silvana, lettura di alcune delle missive su cui si intelaiava il rapporto di Pasolini con Silvana Mauri.
In realtà, la regista - e anima del teatro, di cui è alla direzione artistica sin da quando Franco Parenti lo fondò, nel 1972 - sta parlando di Milano. E dell'Italia. Terreni in cui chi voglia essere vero intellettuale si ritrova a giocare sempre più da solo.
«Forse perché continuiamo a pensare con la nostra testa - prosegue -. Ma il clima è difficile, per chi fa cultura». Sembra l'assist per una domanda in voga: colpa dei tagli decisi dal ministero? Shammah si infervora. «Ma perché dobbiamo pensare che sia solo questione di fondi per fare spettacoli? Guardiamo alla politica: gli opposti schieramenti non fanno che scontrarsi. Ma nelle coalizioni stanno insieme gruppi che avrebbero milioni di motivi per farsi la guerra».
Ma la cultura è anche produzione di eventi. Cosa c'entra l'assetto politico con le risorse? «C'entra - spiega Shammah -, perché la confusione è generale. Se fai chiarezza politica poi è più facile definire il ruolo delle istituzioni. E il loro rapporto con chi si occupa di cultura». Il suo pare buono: l'apertura di Palazzo della Ragione agli spettacoli del Franco Parenti suggella un ottimo legame tra il teatro e il Comune di Milano. «Infatti - replica - non sto accusando questa amministrazione».
Qual è il punto da chiarire, allora? «Faccio un esempio. Anni fa, con Franco (Parenti, ndr) ci rivolgemmo al sindaco Aniasi per chiedere l'intervento del Comune in una nostra iniziativa. Paolo Grassi giudicò illegittima la richiesta. Per lui, i soldi pubblici dovevano andare ai teatri pubblici; a Milano, al Piccolo. Dal suo punto di vista aveva ragione, ma la mia battaglia era quella di essere riconosciuta. Io, però, sapevo chi avevo di fronte e quali erano i motivi dei suoi no. Ora invece tutto è ipotesi, i sì non si negano a nessuno ma ti ritrovi a chiederti quando i tuoi progetti vedranno la luce».
Se dirigesse un'orchestra, Andrée Shammah la guiderebbe nel classico crescendo rossiniano. Piccola variazione sul tema, l'annuncia di una futura accademia del Franco Parenti. «Non voglio tenere per me quello che ho imparato dai miei maestri, Grassi, Parenti, Eduardo - spiega -. Si tratta di dare qualcosa alla città. Ecco perché chiedere più sale nel proprio teatro non vuol dire volerle per sé ma per un luogo fisico, legato a un progetto preciso di teatro che sia un tassello dell'identità milanese».
La variazione si chiude, e ritorna il tema centrale. «Quando, fra trent'anni, si penserà alla nascita del teatro Franco Parenti, la si vedrà come un momento importante della storia di Milano, un po' come lo è stata la nascita del Piccolo? Io credo di sì, e non perché sia il mio teatro o per mia vanità. Ma perché ha una storia ed esprime un'idea di libertà e di ricchezza individuale. E chi può riconoscere tutto ciò se non l'ente pubblico? Ma di questi tempi, lottare per quel tipo di riconoscimento è massacrante.

E se difendi i muri del tuo teatro per quel che rappresenta, ti dicono che fai battaglie immobiliari invece di fare la regista».

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