Anello ferroviario, «fantasma» dimenticato

Daniele Petraroli

Il centrosinistra capitolino tiene davvero al completamento dell’anello ferroviario di Roma. La considera un’opera talmente necessaria allo sviluppo del trasporto merci al punto da riproporne periodicamente la realizzazione a scadenze ben precise. E cioè ogni 4 anni all’avvicinarsi delle elezioni comunali. Salvo poi, passata la tornata elettorale, dimenticarsene fino alla successiva. La storia dell’anello ferroviario, in realtà, precede le giunte rosso-verdi degli anni Novanta. Risale addirittura ai primi del Novecento. Nel 1913 viene costruito un «semianello» tra San Pietro e Nomentana passando per Roma sud. Il tentativo di completarlo si snoda, poi, lungo il secolo scorso. Dagli anni ’30 ai ’50 per arrivare fino a metà degli anni ’80 quando qualcosa sembra muoversi. Per combattere traffico e inquinamento si decide di investire ancora nella «cura del ferro». Gli ostacoli, però non sono finiti. Questa volta lo stop dei lavori è causato dagli insediamenti di artigiani lungo il tracciato. Un nuovo impulso viene dai Mondiali di calcio del ’90. Per portare i tifosi all’Olimpico le Ferrovie stanziano d’urgenza 510 miliardi di lire per il completamento e le stazioni necessarie. Quella più vicina allo stadio, Farneto, viene utilizzata per soli 8 giorni, quella del capolinea, Vignaclara, costata addirittura 81,5 miliardi e praticamente mai utilizzata viene sequestrata dalla magistratura nel febbraio ’93. I sei chilometri mancanti, tra la Flaminia e la Salaria, restano fantasma. Arriviamo così alle attuali amministrazioni. Il 3 dicembre, a due soli giorni dal ballottaggio con Fini per la poltrona di sindaco, Rutelli annuncia tra le priorità della sua giunta in caso di vittoria «la realizzazione della prima tranche dell’anello ferroviario». Vince le elezioni ma la retromarcia è immediata. Il 23 maggio ’94 l’assessore alla Mobilità Walter Tocci dichiara: «Completare l’anello non serve. Serve una utilizzazione per archi e non per circonferenza. Preferisco potenziare le tre grandi direttrici: Roma-Guidonia, Roma-Castelli e Roma-La Storta». Questione chiusa? Neanche per sogno. Appena un anno dopo, il 3 agosto ’95, il sindaco annuncia un accordo con le Ferrovie in vista del Giubileo del 2000 che comprende il «redivivo» anello. Accordo poi formalizzato a ottobre. Nel frattempo il centrosinistra rivince le comunali ma l’opera sembra dimenticata. Cinque anni dopo ci risiamo. Le elezioni si avvicinano e così il 30 dicembre 2000 il consiglio comunale approva un nuovo piano per completare la «cintura» che circonda Roma. «Prevede uno stanziamento di 230 miliardi di lire - spiega allora il vicesindaco Tocci - e risolve anche il problema degli insediamenti commerciali e artigiani dell’area di Tor di Quinto». Il 27 maggio 2001 Veltroni porta il centrosinistra sullo scranno più alto di Roma per il terzo mandato consecutivo ma ancora una volta dell’anello non se ne fa nulla. E arriviamo all’attualità. Il 27 novembre 2003 le Ferrovie si impegnano a studiare un nuovo progetto preliminare. Il 12 agosto 2005, invece, l’annuncio del Campidoglio. «A settembre il nuovo accordo di programma tra Regione, Comune e Fs che diventerà subito delibera», dichiarano trionfalmente il coordinatore della maggioranza capitolina, Di Francia, l’assessore all’Urbanistica, Morassut e quello al Commercio, Cioffarelli.

Secondo gradino, entro 30 giorni, l’approvazione in Consiglio comunale, lo spostamento delle attività commerciali presenti lungo il tracciato, per esempio gli sfasciacarrozze, e l’inizio dei lavori. Inutile dire che al 23 novembre, ieri, non vi era traccia neppure dell’accordo di programma. Ma se ne riparlerà, siamo pronti a scommetterci. Le elezioni, infatti, sono sempre più vicine.

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