All’indomani della divulgazione della relazione ispettiva sulle infiltrazioni mafiose nella Asl di Locri (dove sarebbe maturato l’omicidio di Francesco Fortugno) un dettaglio non poteva passare inosservato: parlando di appalti e citando dal primo all’ultimo impiegato, nemmeno per sbaglio gli 007 del Viminale facevano riferimento alla signora Maria Grazia Laganà, vedova del vicepresidente del consiglio regionale, che in quell’ospedale ad altissima densità mafiosa vi lavorava come vicedirettore sanitario. Nemmeno un timido cenno al marito primario del pronto soccorso, al cognato medico, al fratello o al padre, potentissimo esponente dc da sempre ai vertici della Asl ora commissariata. Nulla. «Stavamo facendo accertamenti che dovevano rimanere riservati, riscontri a 360 gradi, dunque anche sulla signora Laganà», taglia corto uno degli inquirenti che sta dietro all’inchiesta bis culminata con l’invio di un’informazione di garanzia alla vedova Fortugno, neoparlamentare dell’Ulivo e nuovo componente della commissione Antimafia. L’ipotesi di reato della Dda di Reggio Calabria è quella di truffa aggravata ai danni dello Stato in relazione ad appalti nel settore della sanità.
Il nuovo filone d’indagine è dunque scaturito a margine degli accertamenti sulla relazione prefettizia, in apparenza «monca», redatta dal prefetto Paola Basilone: l’oggetto delle contestazioni alla vedova riguarderebbero le anomale procedure di pagamento dell’azienda ospedaliera di Locri rispetto a una consistente fornitura di farmaci. Un’indicazione secca, un appalto preciso, sul quale la vedova sarà probabilmente chiamata a rendere spiegazioni ai magistrati anche alla luce di una sua risposta a un’inchiesta del Giornale del 26 novembre 2006 sulla guerra tra le procure di Reggio Calabria e Catanzaro scoppiata anche a seguito di alcune sue discusse dichiarazioni su mandanti da ricercare nel centrodestra. «Ho ricoperto il ruolo di dirigente di struttura semplice del presidio ospedaliero di Locri - scrive la vedova il 30 novembre 2006 - con nessun potere autonomo e con compiti delegati, tra i quali non rientravano certamente procedure relative ad appalti», procedure e appalti su cui invece si starebbe concentrando l’attenzione dei magistrati di Reggio.
A onor del vero a sollevare interrogativi sulla signora Laganà «che come vicedirettore sanitario di una struttura ad altissima densità mafiosa non si sarebbe mai accorta di quel che succedeva al suo interno» è stata Angela Napoli, deputato di An, che della vedova Fortugno è anche collega in Antimafia. Il 30 ottobre scorso, convocata dai pm reggini, la Napoli avrebbe fatto riferimento alla Laganà parlando, fra l’altro, di due società espressione delle cosche che nella Asl-9 avrebbero fatto il bello e cattivo tempo. A queste aziende si farebbe anche riferimento nel dossier della commissione d’accesso prefettizia laddove si parla «dell’attività amministrativa posta in essere dall’Asl 9 (1995/2005 e in particolare nel quinquennio 2000-2005) caratterizzata dalla presenza di un diffuso ricorso alle trattative private per l’acquisizione di beni e servizi».
Intanto sul fronte politico solo due parlamentari prendono la parola.
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