Un mistero lungo sette anni, unindagine per lo meno imperfetta e lo strano suicidio di un carabiniere. Ora si riapre il giallo di Serena Mollicone: ci sarebbero tre persone indagate, tre ragazzi allepoca coetanei della studentessa diciottenne trovata morta nelle campagne di Arce. E tra loro proprio il figlio di quel maresciallo dellArma cui sarebbe toccato scovare lassassino. Il militare, poco dopo il delitto venne trasferito, lui, il figlio, Marco M. oggi ha 25 anni. Stando a indiscrezioni che la Procura - visibilmente irritata per la fuga di notizie - non conferma ma nemmeno smentisce, lipotesi di reato a carico del ragazzo sarebbe quella di omicidio preterintenzionale e occultamento di cadavere. Meno chiara la posizione degli altri due presunti indagati, due amici che potrebbero «semplicemente» averlo coperto.
Non ha ancora un nome lassassino, ammesso che si possa parlare al singolare. Era il giugno 2001: soffocata, un sacco di plastica in testa, mani e piedi legati col fil di ferro. Linchiesta partì col piede sbagliato. Sospetti ostinati naufragati in evidenze contrarie, un arresto, quello di un giovane carrozziere del posto, cassato in tutti i gradi i giudizio fino allassoluzione totale, unindagine chiusa e poi un anno fa allimprovviso riaperta. Certo è che, in questa storiaccia di sangue, bugie e troppi complici silenzi, i misteri si accavallano. Fino a sovrapporsi in un puzzle dai tasselli rotti. Lultimo è dell11 aprile scorso. Al giorno della fine drammatica del brigadiere dei carabinieri Santino Tura, 50 anni. Appena cinque giorni prima di essere trovato cadavere, ufficialmente suicida con un colpo di pistola al petto, era stato interrogato dai magistrati. Gli avevano chiesto di ripercorrere le tappe dellindagine su Serena.
Uno dei suoi amici più intimi da subito non ha creduto alla tesi del suicidio. «Lavete ammazzato voi - urlò Marco Malvasi davanti al cadavere del sottufficiale. Sapeva troppe cose dellomicidio di Serena. Me laveva detto lui che il cellulare di Serena a casa Mollicone ce laveva rimesso di nascosto un collega». Unaltra delle tante zone dombra questa del telefonino: sparito durante le prime perquisizioni era riapparso la sera del funerale in un cassetto di casa. Proprio nel momento in cui le attenzioni degli investigatori andavano a convergere sul padre della giovane vittima. Fu sospettato, pedinato interrogato a più riprese Guglielmo Mollicone. Tempo perso, e prezioso. Mentre già girava voce che fosse stato proprio il maresciallo, il comandante della stazione di Arce, ad aver preso il cellulare per controllare le ultime conversazioni di Serena: temeva di trovarci il numero di suo figlio Marco. Solo insinuazioni? Al momento sì. Si diceva che il ragazzo avesse litigato con la vittima proprio un paio di giorni prima dellomicidio.
Dopo mesi di indagini da parte dell'Arma, il caso passò all'Uacv (Unità analisi crimine violento di Roma), all'epoca diretta dal primo dirigente della polizia di Stato Carlo Bui che arrestò, con l'accusa di omicidio preterintenzionale e occultamento di cadavere, Carmine Belli, 39 anni carrozziere sposato e con figli, residente a Rocca d'Arce, un piccolo comune della Ciociaria, poco distante da Arce. Ad «accusare» Belli fu una parte del talloncino con l'appuntamento del dentista, dove Serena sarebbe dovuta andare la mattina della scomparsa, ritrovato in uno scatolone, all'interno della carrozzeria dove lavorava.
Lo scorso anno, nonostante il caso fosse stato archiviato lindagine venne però riaperta. Chissà che la soluzione non stia per arrivare.
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