La bomba c’era, ma ha sbagliato indirizzo. Niente Fini. Il bum bum è arrivato a casa di Bossi. I petardi scoppiati a Gemonio, davanti alla sede della Lega, non sono un anticipo di San Silvestro. Il problema non è il conto dei danni. Non sono i duemila euro delle vetrine. È l’aria che si respira in mezza Europa in questi giorni. È questo scintillare di micce che rimbalza dalla Germania alla Danimarca, da Atene a Roma. Qualcuno potrebbe dire che fanno solo rumore, forse non vale neppure la pena starci a pensare. Purtroppo non è così. La fibrillazione nei gruppuscoli antisistema è alta. La strategia rimbalza nei vecchi ciclostili e nei social network e ha un sapore retrò, quasi ottocentesco, ma si innesta sui movimenti e le contestazioni degli anni zero. Meglio spiegarsi. La struttura ideologica è quella comunista, con strane contaminazioni anarchiche. È quell’anarchia comunitaria, che sogna i chilometri zero e l’utopia roussoniana del ritorno alla terra. Sono vecchie ricette anticapitalistiche e reazionarie. Questi anarchici-comunisti nelle viscere sono antimoderni e non mettono l’individuo al centro dell’idea di libertà, ma ancora una volta il mito bastardo del collettivismo. Il XX secolo ci ha aggiunto la spinta no global, le manifestazioni contro l’alta velocità, qualche pagina sparsa di Impero di Toni Negri, reminiscenze di Adorno e le letture commerciali di Naomi Klein, una spruzzata di zapaterismo integralista, più la solita litania del politicamente corretto. Cosa vogliono? Accendere fuochi. Farsi sentire, conoscere, con una serie di piccoli e meno piccoli attentati in successione, in posti diversi dell’Europa, colpendo questo o quell’obiettivo simbolo. È una strategia di marketing politico. Come sempre la speranza è che i fuochi inneschino un principio di rivoluzione. Servirebbero a trasformare le paure, le frustrazioni, il disincanto, il futuro incerto e instabile in consapevolezza ideologica. Alla fine di questo percorso, quasi come necessità storica, c’è sempre la lotta armata.
Le bombe di Gemonio non sono le stesse delle ambasciate. Qui il Fai, la Federazione anarchica informale, non c’entra. La scritta nera sul muro «Antifa» è una delle firme di Autonomia proletaria. È il network di azione antagonista, il parcellizzato sottobosco dei centri sociali. Antifa sta per antifascismo. La rete ha nodi in Germania, Francia, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca, Grecia, Gran Bretagna e Italia. Non sono un’organizzazione piramidale. Il marchio funziona come una sorta di franchising molto aperto. Il logo è un cerchio con all’interno due bandiere, una che sventola davanti all’altra. In alcuni Paesi, come l’Italia, la bandiera rossa sovrasta quella nera, dove il sentimento anarchico è più forte è il contrario. Vince il nero. L’ideologia di base è comunque quella, poi ognuno la declina secondo i suoi gusti e le esigenze locali. E qui si arriva ai petardi per il Senatùr. Come mai se la prendono proprio con la Lega? Le ragioni sono due. La prima è vecchia. Il Carroccio incarna per loro il nuovo nazifascismo italiano. Sono razzisti, non vogliono gli immigrati, sono sessisti e omofobici. L’analisi politica è piuttosto rozza. Quasi sempre si ferma alla fisiognomica di Borghezio. Ma questa è la parte meno interessante. Questo è il passato. L’ultima Lega è molto più pericolosa. È quella delle riforme, che guarda al futuro, che punta a rivedere gli architravi del Novecento, che sogna un welfare più flessibile, perfino un po’ meno nordista, ma che un po’ alla volta sta strappando gli operai alla sinistra e al sindacalismo imbalsamato nel mito del metalmeccanico di massa. Questa la odiano anche di più, perché da tempo è lontana da una società basata sul posto fisso. La cultura del lavoro leghista è l’antitesi della Fiom. Il vecchio Carroccio, in fondo, era scontato. Era facile da indicare come nemico. Questo, quello degli ultimi anni, sta diventando un concorrente molto più insidioso. S’incunea e strappa terreno nelle casematte sociali della sinistra. E in questo è dirompente. Stravolge gli equilibri. È simile al ciclone Marchionne.
L’uomo Fiat è, al momento, il grande nemico di classe. Ma i leghisti sono lì a un passo, con l’aggravante Borghezio. I petardi sono solo un segnale. Le parole, però, da tempo hanno superato il livello di guardia. Uno degli ultimi post di Indymedia, il network ideologico dei reazionari antagonisti, parla di «sbaragliare Marchionne, i suoi mandanti e i suoi complici». Qui si torna a teorizzare l’esproprio proletario di banche e centri commerciali. Qui si dice che i capi più illuminati della Fiom devono mettersi alla testa di un movimento rivoluzionario. «Le masse popolari devono organizzarsi e mobilitarsi per costituire un loro governo d’emergenza.
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