Roma - Un primo colpo di scure alla pubblica amministrazione in stile Bisanzio lo ha assestato il Consiglio dei ministri di ieri. Con il via libera al codice delle Autonomie, preparato dal ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli, si falciano 50mila poltrone e si risparmiano un bel po’ di quattrini: «diversi miliardi», gongolava il ministro leghista. Il provvedimento taglia-burocrazia, che ora dovrà affrontare l’iter parlamentare, stabilisce chi fa cosa nei diversi livelli di governo ma soprattutto razionalizza le autonomie locali. Un raggiante Calderoli, assicurava che «il ddl modifica la composizione dei consigli e delle giunte degli enti locali, prevedendo una significativa riduzione del numero di consiglieri e assessori». Ad attestare la sforbiciata all’attuale plotone di consiglieri comunali e provinciale, nonché quello degli assessori, le tabelle allegate al provvedimento. Oggi l’esercito dei consiglieri comunali conta 120.490 uomini; con la nuova normativa saranno 29.345 in meno per un taglio del 24%. Stessa limatura per i membri dei parlamenti provinciali: oggi sono 3.246, domani saranno 2.650 per una riduzione del 18%. Analogo discorso per i governi degli enti locali: 14.543 assessori comunali in meno (-41%) e 220 assessori provinciali in meno (-26%).
La logica è quella di sfoltire la rappresentanza politica dalle piccole città fino alle grandi metropoli: i comuni con più di un milione di abitanti potranno avere al massimo 45 consiglieri comunali e non più 60; quelli da 500mila abitanti, 40 consiglieri comunali e non più 50 e così via fino ad arrivare ai microcentri che potranno avere i propri parlamentini composti da 8 membri e non oltre. Identico discorso per le province: quelle con più di 1 milione e 400mila abitanti avranno al massimo 36 consiglieri; quelle dai 700mila abitanti al massimo 30 consiglieri e così via; fino ad arrivare alle 38 province con meno di 300mila abitanti che non potranno superare la cifra di 20 consiglieri. E le giunte? Stesso trattamento: oggi gli assessori comunali sono 35.254, domani saranno 20.711; oggi gli assessori provinciali sono 858, domani saranno 638.
«Si tratta di un altro importante risultato ottenuto in tempi brevissimi da questo governo, che alle chiacchiere preferisce i fatti», commentava Calderoli. Una cura dimagrante per il mammuth dell’amministrazione statale che ha come effetto immediato quello di raggranellare un po’ di risorse. Difficile fare i calcoli precisi ma, sempre Calderoli, valutava un risparmio di circa 150 milioni di euro, solo per il capitolo comunale. Una spesa che normalmente si aggira attorno ai 600 milioni di euro. E le comunità montane? «Cesseranno di esistere a livello dell’ordinamento statale e passeranno, come deciso dalla Corte costituzionale, sotto le Regioni. Le Regioni se vorranno farle esistere dovranno fare una loro legge, rispondere rispetto ai loro elettori e pagarsele».
Altolà agli sprechi, insomma, anche perché, spiegava il ministro, «c’è la necessità di garantire sempre la rappresentatività democratica ma in questo senso mi pare si sia ecceduto. Faccio l’esempio di un piccolo comune della provincia di Lecco con 32 abitanti di cui 25 votanti: per le attuali regole avrebbe 12 consiglieri e 5 assessori».
Mentre i due responsabili degli enti locali del Pdl Giovanni Collino e Mario Valducci brindavano («Gli elettori ci hanno dato il mandato per cambiare l’Italia e la riforma degli enti locali è parte fondamentale di questo disegno»), c’era già chi arricciava il naso. «Un semplice restyling», bocciavano il testo la Conferenza delle Regioni, l’Associazione nazionale dei Comuni italiani e l’Unione delle Province d’Italia.
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