Cultura e Spettacoli

Articoli dimenticati scritti sul fronte della Linea gotica Il grande autore, celebre per l’ironia, si distinse anche come cronista di guerra. Ecco i suoi reportage inediti dal 1944

Un Mario Soldati diverso, a cui non siamo abituati. Un soldati al fronte, se ci permettete il gioco di parole, che riscopre i toni dell’eroico, lui solitamente così portato all’ironia, al disincanto garbato. Questo è il giornalista che emerge da Corrispondenti di guerra (Sellerio, pagg. 106, euro 10).
Si tratta di una preziosa raccolta di articoli, scritti tra il novembre e il dicembre del 1944, da un Soldati che si era reinventato, nelle ambasce del conflitto, corrispondente del giornale socialista Avanti! e, sotto falso nome, anche dell’Unità (testata che gli americani avevano bandito dal fronte). Nella veste di cronista - spogliato del ruolo di letterato e di sceneggiatore - Soldati si aggirò tra le truppe, raccontando le piccole grandi storie di quegli italiani, magari infilati a forza in una divisa americana, che stavano tornando a combattere, ritrovando in qualche modo quella dignità persa con il «tutti a casa» dell’8 settembre 1943.
Ne risultarono 8 brevi reportage che, una volta usciti in fretta e furia, e con qualche taglio, sulle rotative dell’Italia “liberata” finirono nel dimenticatoio. A guerra finita Soldati li raccolse in una cartella di 57 fogli dattiloscritti a cui appose, a mano, lo strano titolo di Corrispondenti di guerra (forse un’allusione a un copione che non girò mai o agli altri corrispondenti che vissero quell’avventura con lui). La scelta di raccoglierli fa pensare ad una volontà di pubblicazione. Publicazione che poi non fu, almeno sino all’attuale recupero in volume (solo Elegia del mulo è stato ripreso precedentemente da Repubblica, nel 2006).
Ma cosa si può trovare in questi articoli vergati a zonzo per una Linea gotica che spaccava in due un Paese e l’anima dei suoi abitanti?
Si trova, come dicevamo all’inizio, un Soldati che riscopre l’amor di patria, che forza i toni, diversamente da quello che è il suo stile abituale. Se nel suo famoso Fuga in Italia, in cui descrive le rocambolesche avventure che portarono lui e Dino De Laurentiis a Napoli abbandonando la Roma occupata, la scrittura è volutamente impostata ai timbri dell’anti eroico in queste pagine è modulata a toni quasi risorgimentali. Tant’è che il curatore della raccolta, Emiliano Morreale, parla di un ritorno dell’autore al «proprio inconfessato, infantile attaccamento alla mitologia militaresca piemontese...».
Forse è un giudizio sin troppo severo, anche se nasconde un fondo di verità. Si può, invece, dire che Soldati più che altri autori trovò dopo l’8 settembre la volontà di credere in una nuova Italia, o nel ritorno di una vecchia Italia risorgimentale che era stata oscurata per un ventennio. Ed è proprio in quel contesto che consciamente o inconsciamente colloca gli uomini in armi che incontra nel suo peregrinare. Forse perché da grande osservatore qual era si accorse che anche quegli uomini in quel contesto si collocavano. Così i giovani descritti in Recky Squadron sembrano tante piccole vedette lombarde, l’ufficiale de Il discorso del colonnello (che potete leggere in questa pagina) incarna quella signorilità autorevole che era il retaggio degli ufficiali delle guerre patriottiche. Eppure la retorica se c’è non dà fastidio. Perché è sempre accompagnata dall’elogio degli umili. Perché non è mai proterva, semmai misurata, dedicata a coloro che rifuggendo il monumento non lo ebbero.

I colpi di cannone e le pallottole, quelle purtroppo sì.

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