Cultura e Spettacoli

Da Aspasia a Carla il potere della bellezza

Fin dall’antichità si stilarono i canoni (estetici) delle first lady. Il primo caso fu quello di Frine, che sedusse Iperide e vinse la causa per manifesto fascino

Grigia e monotona la vita dei politici? Tutta spesa sui faldoni del potere, le aride statistiche dei sondaggi, le sabbie mobili delle diplomazie? Eh via, sono uomini anche loro. Il rosso fuoco della passione e il rosa della cronaca illumina i giorni di questa gente sopra il comune. Purché le forme della donna - d'ebano o d'avorio - siano catalogate tra le più belle al mondo. Carla Bruni per Nicholas Sarkozy. Naomi Campbell per Hugo Chávez.
Un poeta greco del VII secolo a.C., Semonide di Amorgo, aveva già scritto il canovaccio. Per amor di satira inventò un bestiario femminile in cui ogni compagna deriva da un animale. La tipa giusta per il leader? Se sta molto in alto (re, imperatore, presidente), gli tocca la donna-cavalla. Una a cui viene l'orticaria solo a sentir parlare di pignatte e pulizie di casa. Non ha chioma, ma criniera, pettinata tre volte al giorno dal coiffeur personale. Gli unici negozi che frequenta sono boutique e profumeria.
Il gossip ateniese ne trovò una in carne ed ossa. Si chiamava Frine, ed era una supermodella. A quell'epoca la copertina di Playboy non esisteva, ma lei trovò modo si esibire il suo bendidio con metodi più stabili e clamorosi. Posò come Afrodite, sorgente dal mare, rigorosamente nature. Benpensanti e invidiosi montarono la campagna scandalistica. Finì in tribunale. Ma ecco il colpo di scena. Il suo uomo era Iperide, capo del partito democratico e principe del foro. Assunse la difesa di Frine e chiuse l'arringa in stile non verbale, facendo cadere il peplo dell'imputata davanti ai giudici. Fu l'assoluzione più veloce della storia.
La bella era tutt'altro che una bambola, tutta esteriorità. Aveva spessore politico, ed era impegnata nel sociale. Era scesa in campo a fianco del suo Iperide, finanziando la ricostruzione di Tebe, rasa al suolo dai Macèdoni di Filippo e Alessandro. Una mossa arrischiata, perché ad Atene era forte il partito di chi voleva un inciucio con la Macedonia, mentre lei, una donna, aveva perfino preteso che una targa di bronzo ne immortalasse l'operato: «Alessandro ha distrutto Tebe, Frine l'ha fatta risorgere».
Attaccare la donna per fare le scarpe al premier: una strategia già vista ai tempi della fantastica Aspasia, prima amante, poi sposa di Pericle. Straniera, di Mileto (un'aggravante agli occhi dei circoli più conservatori, bacchettoni, che non le risparmiarono l'accusa di favoreggiamento, per una sua presunta scuderia di ragazze-squillo d'alto bordo), Aspasia doveva avere una marcia in più se uno statista del calibro di Pericle prendeva direttive da lei quando c'erano da promuovere costose spedizioni navali, come quella contro la potente Samo, e un tipo un po' autoreferenziale, il Socrate che non le mandava a dire a nessuno, la accettava come maestra di ragionamenti, subendone i bonari rimbrotti, per l'attenzione precaria e il pigro comprendonio.
Gli anti-Pericle tentarono la solita strada giudiziaria: le fecero causa, perché Aspasia era spregiudicata, radicale in filosofia come il suo amico, il razionalista Anàssagora che svalutava gli dei della consuetudine, sostenendo che sole e luna erano pezzi di roccia infuocati, altro che celestialità olimpiche. Niente da fare. Pericle la difese alla sbarra con un calore che non avrebbe dispiegato neppure se a pericolare fossero stati lui stesso e la sua leadership. Una vera donna del capo deve stargli vicino fino all'ultimo, costi quel che costi. Come fece Timandra, stupenda amica di Alcibiade, doppiogiochista di genio, che nella guerra del Peloponneso, pur di rifulgere sempre come stella di prima grandezza, cambiò casacca più volte, tra l'Atene natia e la nemica Sparta, finendo ammazzato da sicari persiani in uno sperduto ridotto della Frigia. Dove Timandra ne raccolse la spada e le ceneri, finendo in leggenda.
Tra amanti di questo livello, litigi e rotture sono sempre da prima pagina. La Roma dei Cesari ne offre un campionario inesauribile. Messalina fu una bad-girl da manuale. Mal maritata, poco più che bambina, a un uomo, Claudio, che aveva trentacinquenne anni più di lei, interpretò il suo legame con il capo, l'imperatore di Roma, come licenza di uccidere, soddisfare i più malvagi capricci, sprofondare nel più tenebroso abisso di scandali e corruzioni. Anche le sue gesta furono registrate da una penna, quella di Tacito, visceralmente ostile alla casata imperiale, è difficile pensare che la fiera delle nefandezze (memorabile la gara di sesso con una lucciola professionista) fosse frutto integrale della propaganda ostile.
La più fosca first lady è Poppea Sabina. Approdò al letto di Nerone (e al trono, suo vero obiettivo) lastricando l'ascesa di cadaveri eccellenti: Agrippina, la suocera, Claudia Ottavia, la rivale, Seneca, ex-tutore del marito testa calda e, secondo le più velenose illazioni, qualche migliaio di cristiani. Una discussione più accesa, e Nerone troncò il turbolento legame con un calcio in pieno grembo, che uccise Poppea e il suo nascituro. Un discorso a parte meriterebbe l'indiscussa star di queste cronache, Cleopatra. Ma qui la storia si inverte.

Fu lei a sciupare capi: idolatrò la corona e dei suoi uomini lasciò macerie.

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