RomaUn dicembre torrido per Silvio Berlusconi, che si apre con un crescendo rossiniano di quattro giornate fra tribunali, tv e piazze. Una concatenazione di coincidenze, magari del tutto casuale, ma che sembra fatta apposta per alimentare il fragore mediatico attorno all’ultimo, terrificante sospetto: a Palazzo Chigi siede un mafioso (un po’ «esterno», ma fa lo stesso) stragista.
La sequenza è impressionante: il primo dicembre, martedì, la Corte di appello di Milano decide se la Fininvest del premier dovrà versare uno sull’altro, nelle tasche di Carlo De Benedetti, i 750 milioni di euro di risarcimento per la vicenda Lodo Mondadori, pronunciandosi in via definitiva sull’istanza di sospensione della sentenza di primo grado.
Il 3 dicembre è un giovedì, il Santoro-day: va in onda Annozero. Nessuna anticipazione ufficiale, ma è davvero difficile pensare che la squadra santorian-travagliesca non abbia messo in cantiere una ricca disamina delle vicende giudiziarie del premier. Soprattutto è difficile immaginare che non allestisca per i suoi telespettatori una calda serata di vigilia per il giorno più atteso dell’anno, più volte evocato in quello studio: il 4 dicembre, venerdì, è infatti lo Spatuzza-day. Il giorno in cui l’ormai celeberrimo pentito di mafia deporrà nell’aula del processo contro Marcello Dell’Utri.
Il canovaccio delle dichiarazioni è già noto, anticipato da un fragoroso tam tam mediatico e da oculate fughe di notizie raccolte da alcuni ben informati quotidiani: Spatuzza deve dire che Berlusconi aveva stretto un patto di sangue con la mafia stragista dei fratelli Graviano, ben prima della discesa in campo ufficiale, per prendere il potere (aiutato da un po’ di bombe) e spartirlo equamente con Cosa nostra. «Ci siamo messi il Paese nelle mani», sarebbe la frase di Graviano, riferita da Spatuzza, pronunciata ai primi di gennaio del ’94, con largo e preveggente anticipo sulla vittoria elettorale berlusconiana. Verosimilmente, la frase risuonerà in aula il 4 dicembre prossimo.
E il giorno dopo c’è il clou di piazza: il No-B day (indovinate per cosa sta la B) convocato dall’ex pm Antonio Di Pietro e successivamente rilanciato dai «blog» girotondini e filo-Repubblica, per poterla presentare come una manifestazione «autoconvocata», «spontanea», «dal basso» e per poter pressare meglio il Pd. Che per ora resiste, e nega la propria adesione ufficiale. Il neo-responsabile Giustizia dei Democratici, Andrea Orlando, a domanda, scuote vigorosamente la testa: «No che non ci vado». Ma nel partito sono tanti quelli tentati o sicuri di partecipare, e la base è in fermento: basta dare una sbirciata alle lettere all’Unità per sentire militanti Pd che si lamentano per la «diserzione». E lo stesso giornale di Concita De Gregorio, in un corsivo di ieri, ironizzava ampiamente sulle contro-manifestazioni organizzate dal Pd per non lasciare a Di Pietro il monopolio: «Il segretario del Pd preferisce che il partito faccia opposizione nei modi e nelle forme più consone alla propria tradizione: una manifestazione ombra». Dunque, a Bersani è toccato sdoganare almeno un po’ la piazza del 5 dicembre, spiegando che non c’è nulla di male ad andarci.
Che farà il Pd se su Berlusconi arriverà il marchio «mafioso», magari corredato da avviso di garanzia? «Non potremo che fare come per Cosentino: chiedere che si dimetta da premier», constata un alto dirigente bersaniano. Già, la vicenda Cosentino «sembra l’anticipazione del caso Spatuzza», dice l’azzurro Quagliariello. «Abbiamo il dovere di chiedere al governo che su nessuno dei suoi membri resti l’ombra di possibili rapporti con la camorra», ha tuonato ieri nell’aula del Senato il vicepresidente del gruppo Pd Zanda. Per Giorgio Tonini, senatore Pd, «la mafia è l’arma fine del mondo: dopo quella possono imputarlo solo per i crimini contro l’umanità del Rwanda».
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