Economia

Atene stringe la cinghia ma ora batte cassa: «L’Europa deve aiutarci»

Il messaggio è duplice: è indirizzato ai cittadini, chiamati a sommare sacrifici ai sacrifici per raddrizzare la barra dei conti pubblici; ed è anche rivolto all’Unione europea, invitata ad aprire finalmente i cordoni della borsa. In caso contrario, è la minaccia, potrebbe entrare in campo il Fondo monetario internazionale. La Grecia fa sul serio: ha deciso di affrontare di petto una situazione da «tempo di guerra», per usare le parole del premier George Papandreou, con misure supplementari drastiche, suscettibili di accrescere una tensione sociale peraltro già ai livelli di guardia in un Paese paralizzato da scioperi e manifestazioni. Sfidando, tra l’altro, quell’elementare legge economica in base alla quale a una riduzione del potere d’acquisto corrisponde un calo dei consumi.
Ma per schiacciare di quattro punti entro dicembre il rapporto deficit-Pil, ora collocato al 12,7%, e cancellare dal bilancio uscite per complessivi 4,8 miliardi di euro, la sola alternativa era una cura da cavallo. Da cominciare già domani. Il governo torna così a incidere pesantemente sul settore pubblico (previsti tagli per 2,4 miliardi), i cui dipendenti si ritroveranno quasi con un intero mese di stipendio in meno per effetto della decurtazione di tredicesima (30%) e quattordicesima (60%); inoltre, gli straordinari verranno abbattuti del 30% e saranno ridotti del 5% gli investimenti in opere pubbliche. L’altro versante di intervento è quello sulle entrate, con un inasprimento di due punti percentuali dell’Iva (dal 19 al 21%); per alcuni capitoli di spesa, rincari ad hoc: 8 centesimi il litro per la benzina, tre per il gasolio; le tasse sulle sigarette passano dal 63 al 65%, mentre nuove imposte colpiranno i beni di lusso. I redditi superiori ai 100mila euro saranno soggetti a una patrimoniale; inoltre, imposta una tantum sulle proprietà immobiliari e una tassazione sugli introiti e i beni immobiliari ecclesiastici.
«Noi abbiamo fatto quello che dovevamo fare, adesso tocca all’Europa», ha detto Papandreou, non appena resi noti i provvedimenti. Atene non sembra volersi accontentare delle parole spese dal presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker («decisioni coraggiose, pronti ad agire se necessario»), né di quelle del numero uno della Commissione Ue, José Manuel Barroso, che «si rallegra» delle decisioni prese. Atene batte cassa: «Se la risposta dell’Europa non sarà all’altezza delle aspettative - ha infatti puntualizzato il premier greco -, non saremo più in grado di finanziarci sul mercato a tassi di interesse così elevati». Insomma: in assenza di aiuti, saremo costretti a chiedere appoggio al Fmi. Un’opzione vista come il fumo negli occhi da Bruxelles, che non vuole che Stati Uniti e Cina, membri influenti del Fondo, mettano il naso nel dossier Grecia.
Il nodo del soccorso finanziario è ancora tutto da sciogliere. Dal cancelliere tedesco, Angela Merkel, è arrivata ieri una doccia fredda: «Nell’incontro di venerdì (domani, ndr) con Papandreou non si parlerà di aiuti». E anche se i mercati hanno reagito bene al piano di risanamento aggiuntivo (l’euro è risalito fino a 1,3720 dollari, lo spread tra il decennale greco e il bund è sceso ai minimi da inizio febbraio), il quadro non cambia. Per evitare ogni rischio, Atene dovrà avere le spalle coperte quando deciderà di collocare i sirtaki-bond.

Tra aprile e maggio scadranno titoli per 20 miliardi: prima di allora, è possibile che si concretizzi l’ipotizzato intervento della tedesca Kfw e della francese Caisse des Depôts con l’acquisto di obbligazioni greche.

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