Le auto blu italiane parlano tante lingue ma non l’italiano

Caro Granzotto, mi rivolgo a lei perché sono sicuro che mi potrà dare una risposta esauriente a un quesito che mi sono sempre posto senza darmi una risposta convincente. Nei telegiornali o sulle riviste si vedono sempre i nostri deputati o esponenti di governo che sfilano, sulle strade o davanti alle sedi istituzionali, seduti su auto di servizio quasi sempre di marca straniera. Io ritengo che questa esposizione di auto straniere sia una grande pubblicità, oltre che un grande dispendio di danaro pubblico che va nelle casse di altre nazioni. Vorrei sapere se c’è un motivo preciso perché questo accada oppure non riusciamo a vincere gli appalti per l’assegnazione di queste vetture, o ancora le nostre non sono all’altezza per quanto riguarda prestazioni tecniche o estetiche.
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Giorni fa ho rivisto Una notte con vostro onore, con Walter Matthau e Jill Clayburgh. Nella finzione cinematografica, i due erano membri della Suprema Corte, il più alto organo giudiziario degli Stati Uniti, composto di nove membri nominati a vita. Bé, sia lui che lei andavano e venivano guidando la propria auto. Unico privilegio, il posto riservato al parcheggio; per il resto, gli stessi problemi che affliggono il comune cittadino: traffico, motore che non vuole mettersi in moto, lunghe code ai semafori... Ce lo vede lei, caro De Angelis, un nostrano giudice della nostrana suprema Corte fare lo stesso? E in alternativa non dico prendere il tram, ma un taxi (se lo possono permettere: la retribuzione consente loro di pagarsi non una, ma centomila corse il mese. E senza batter ciglio)? Non lo farebbe mai perché è da un pezzo che l’auto blu ha cessato di essere un gratuito mezzo di locomozione per diventare simbolo di Stato: chi ci viaggia spaparanzato sui sedili posteriori è per antonomasia «importante», è «uno che conta». A questo siamo: l’auto blu è il pennacchio sul cimiero, è il piumaggio del pavone, è la scollatura (in genere «abissale») dell’attricetta o velina che dir si voglia. Essendo diventata secondaria quella che è invece la funzione primaria di una automobile, portarti da qui a lì, nella scelta dell’auto blu si è finito per badare solo all’appariscenza, puntando l’occhio sui modelli più potenti e costosi, tale da trasmettere al pensionato a passeggio col suo cagnolino l’impressione dell’opulenza, dell’esclusività. Del potere. Eppure sarebbe una questione di buon senso: se per quelli solenni, istituzionali - tipo il taglio di un nastro o corteggio per le vie di Roma con un capo di Stato straniero - s’impone una lustra berlina, per i trasporti urbani, proprio quelli casa-ufficio, basterebbe e avanzerebbe una flotta di Fiat Punto. Croma, va’. Però, per i motivi sopra detti, se glielo proponi a un beneficiato quello ti fa maramao. O il bras d’honneur, il gesto dell’ombrello.
Escluse dunque le medie cilindrate, la nomenclatura si rivolge alle marche di alta gamma, settore dove la Fiat è sempre stata assai carente. L’ultima della serie, la Thesis, come vettura di rappresentanza è ordinaria, anche tristanzuola e lascia a desiderare per cura e raffinatezza degli interni oltre che per affidabilità meccanica. A chi se lo può permettere e vuole spostarsi «italiano» non resta quindi che la Maserati: bellissima, velocissima, dispendiosissima ma nemmeno tanto comoda per chi si accomoda, secondo l’etichetta del potere, nei sedili posteriori.

Per tutti gli altri, Bmw, Audi, Mercedes, immatricolate senza problemi di coscienza perché l’Europa cosa ci sta a fare se l’italiano deve acquistare made in Italy, il tedesco made in Germany e via dicendo? Un’ultima cosa, caro De Angelis: gli unici che devono per forza disporre di una berlina straniera sono coloro che per malaugurata necessità si trovano costretti a spostarsi a bordo di auto blindate. E questo perché se blindi seriamente una Thesis quella s’accascia al suolo e da lì non la schiodi più.

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