"Avevo mollato tutto, per ritrovarsi ci vuol coraggio"

Julia Roberts: "Come la protagonista di Mangia, prega, ama ho sentito il bisogno di una pausa. Ma Alan mi offrì Il rapporto Pelican". E rivela: "Nel mio periodo buio anch'io sono andata in giro"

"Avevo mollato tutto, per ritrovarsi ci vuol coraggio"

Los Angeles Eat Pray Love - Mangia Prega Ama, il romanzo di Elizabeth Gilbert che ha venduto oltre sei milioni di copie negli Stati Uniti ed è stato tradotto in quaranta lingue, è diventato un fenomeno mediatico e commerciale internazionale, con shopping tematico e agenzie di viaggio, soprattutto americane, che organizzano tour in Italia, India e Bali, i luoghi dove si svolge l’azione. Più che tour potremmo definirli pellegrinaggi di una religione new-age che attira soprattutto donne sulla quarantina in crisi, come l’autrice, una giornalista e scrittrice fresca di divorzio e alla ricerca di se stessa, che parte per un viaggio di un anno alla ricerca, rispettivamente, dei piaceri della tavola (negandosi in Italia quelli della carne anche se bussano alla porta, perché così dettava la tabella di marcia), della preghiera, e infine dell’equilibrio, che coincide fortuitamente con l’incontro con un nuovo amore. Va detto che la Gilbert era già partita con un contratto editoriale in tasca, scegliendo per ragioni di marketing di visitare paesi che iniziano con la «i» (sarà una coincidenza che «I» significhi «io» in inglese?): Italia, India e Indonesia. Il libro è ora un film interpretato da Julia Roberts, Javier Bardem e Richard Jenkisn, e diretto da Ryan Murphy, il regista delle serie televisive cult Nip/Tuck e Glee. Da domani nelle nostre sale. Tra gli interpreti della tappa italiana anche Luca Argentero, Giuseppe Gandini, Andrea di Stefano e Lucia Guzzardi.

Ultimamente il film e il libro hanno ricevuto critiche per essere una specie di fantasia per ricche signore annoiate e insoddisfatte. Lei che ne pensa?
«Capisco la protagonista, non penso che sia una codarda che sfugge la realtà. Si è resa conto che la sua relazione aveva fatto il suo corso e aveva bisogno di guardarsi dentro. È sempre coraggioso partire per paesi stranieri dove non si conosce nessuno, anche da turista».

Ha mai avuto viaggi così trasformativi?
«Ogni viaggio ti cambia un po’, ma non penso che ci sia bisogno di lasciare casa tua e cambiare tutto per capire chi sei. L’importante è trovare il tempo per guardarsi dentro, capire cosa si vuole, e trattarsi con amore e rispetto, così come vuoi essere trattata dagli altri. Quello che ha funzionato per Liz magari non funzionerebbe per qualcun altro. Lei era già una viaggiatrice e aveva delle ragioni precise per andar in quei paesi».

Come mai il libro ha avuto questo successo planetario secondo lei?
«Credo che tutti abbiano il desiderio di fare una pausa e di pensare solo a se stessi. Ma chi può farlo? Forse però è importante trovare questo tempo per essere persone equilibrate e serene».

Le è mai venuta voglia di mollare tutto?
«Non a questo livello, a livello esistenziale. Ma dopo aver girato Sleeping with the Enemy e Dying Young ho preso una specie di sabbatico di due anni. Non ero soddifatta del materiale che mi veniva offerto, e quindi ho aspettato fino a che è arrivato Alan Pakula con The Pelican Brief. Alan è stato una grande influenza professionale su di me. Se ci penso mi stupisco quasi che così giovane, a 24 anni e a quello stadio della mia carriera, ero così determinata ad aspettare di trovare qualcosa in cui credessi veramente».

E a livello personale?
«In quel periodo ho viaggiato, sono andata a trovare amici, ma niente che assomigli all’esperienza della Gilbert. Sapevo cosa volevo, una famiglia e dei figli, e sono fortunata di aver cominciato la mia carriera da giovane e la mia famiglia più tardi. Avevo già 18 anni di lavoro alle spalle e a quel punto potevo gestire la carriera in funzione della famiglia. Un lusso che non tutte le mamme hanno. Mentre io posso portare i miei figli sul set e offrire loro esperienze indimenticabili. E stando in giro per il mondo per cinque mesi per questo film mi sono resa conto di quanto sono fortunata, perché amo ancora appassionatamente il mio lavoro, anche quando è impegnativo come in questo caso».

Non trova che la geografia del film si basi un po’ troppo su dei cliché?
«Ma Roma è davvero piena di bei ragazzi e di ottimo cibo e di gente che si bacia! Chiaramente è anche una strizzatina d’occhio, un cliché se preferisce, così come spesso al cinema sono stereotipati i ritratti degli attori, o della gente del sud. È vero che a volte quando si vuole far sorridere non si usa sempre il pennello più sottile, si carica un po’ la realtà. Spero che nessuno si offenda, perché tutto è fatto in buona fede e con l’intento di divertire».

L’autrice del libro ha trovato l’amore e la serenità alla fine del suo periplo.

E lei in che fase della sua esistenza si trova?
«Sono in un momento felice della mia vita, ma non è un punto di arrivo, piuttosto una situazione che devi continuamente nutrire. Non prendo niente e nessuno per scontato, da mio marito ai miei figli alla mia famiglia allargata ai miei amici».

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