«Un sogno. Come si dice sogno in italiano?». Levan Mchedlidze, il 17enne georgiano dal cognome impronunciabile che ha fatto un regalone allItalia, giustiziando la Scozia, non sta più nella pelle. «Ho fatto gol per la Georgia, non certo per lItalia alla quale avrei voluto rifilarne uno a Genova. Sono però contento di avere aiutato gli azzurri. Ma, proprio a me doveva toccare?», si è lasciato scappare, ancora incredulo. Già, proprio a lui che biascica solo qualche parola della lingua di Dante, che però capisce grazie al contatto giornaliero con i compagni dellEmpoli e grazie alla scuola di italiano che, essendo minorenne, è costretto a frequentare.
La celebrità gli è piombata addosso in cinque giorni, dal 13 ottobre quando ha esordito a Genova contro lItalia a mercoledì scorso nella sua Tbilisi. Giorni che Levan, come tutti lo chiamano, non potrà mai dimenticare e che in Georgia lo hanno trasformato in eroe nazionale. Perché esordire contro i campioni del mondo, ripetersi e fare gol alla Scozia; giocare quattro mesi e mezzo dopo aver subito una complicata operazione al ginocchio; scendere in campo senza allenamenti nelle gambe, ebbene, tutto questo rappresenta qualcosa di impensabile nel calcio attuale.
«Andando in giro per lEuropa in cerca di talenti, ho avuto una segnalazione da Gianni Carnevali, che allena in Georgia, e mi ha parlato di questo sbarbatello lungo lungo e con un sinistro doro», afferma il suo procuratore Davide Torchia che per aiutarlo lha messo sul suo stato di famiglia, come fosse un figlio adottivo. «Era fine ottobre 2005 e mi sono precipitato a Bruxelles dove le nazionali under 17 di Belgio, Georgia, Austria e Bulgaria erano radunate per leuropeo di categoria. Lho visto contro i padroni di casa, lui nato nel 1990 contro i 1989. E li ha messi tutti in riga realizzando un gran gol». Una folgorazione come quella di Paolo di Tarso sulla via di Damasco. Torchia sorride e approva: «Certo, ho capito le enormi potenzialità del ragazzo e lho subito bloccato invitandolo qualche giorno dopo ad Empoli per un provino». Cosa che Levan ha accettato di buon grado («amo e voglio lItalia e mi piacciono tutte le squadre italiane») rifiutando le offerte dei club tedeschi, il Bayern Monaco sopra tutti, che facevano ponti doro per averlo.
«Una scelta di vita e la possibilità di poter crescere in assoluta tranquillità», aveva confidato ai compagni coi quali, appena arrivato, condivideva la camera nel convitto dellEmpoli. Ora invece il club del presidente Corsi gli ha messo a disposizione un appartamento vicino allo stadio, insieme al fratello Ghio George, mentre i pasti li consuma nel centro sportivo di Monteboro dove si allena (finora ben poco) con la primavera, gli allievi e due giovanili di ragazzi del 1996. E tutto per il modico stipendio di 3.000 euro al mese, più vitto e alloggio.
«Quando Torchia ce lha portato e labbiamo visto giocare, ne abbiamo intuito le doti», precisa Marcello Carli, il responsabile tecnico dellEmpoli che ha il compito di scoprire, plasmare e forgiare i campioni del domani. «Solo che letà era troppo bassa, non potevamo tesserarlo, non potevamo farlo restare in Italia fino al compimento dei 16 anni e allora labbiamo fatto andare avanti e indietro dalla Georgia, consenziente la mamma Lela che laccompagnava sempre, per avere la possibilità di regolarizzarlo». Cosa che è avvenuta nel 2006 e da allora per Levan è iniziata unaltra vita, con la voce «calcio» al primo posto degli interessi (per ambientarlo lo hanno fatto giocare qualche mese nei dilettanti del Castel Fiorentino). Basta scuola, sufficiente quella dellobbligo in Georgia, e avanti tutta col football. Anche perché, a guardarlo bene, fisicamente e tecnicamente, la somiglianza con Ibrahimovic è enorme. «Certo, Zlatan mi piace e a lui sono stato paragonato dopo aver realizzato un gol in acrobazia nellamichevole contro la Triestina. Ma mi piacciono anche Toni e Totti. Anche se io, campione o no, resterò sempre io. In nazionale gioco col 99, ma in Italia vorrei avere il 9 (lEmpoli gli ha dato il 90, ndr)», precisa Levan, con un moto di orgoglio. A rompergli le uova nel paniere era stato però un brutto infortunio, che rischiava di fargli interrompere la carriera, patito nello scorso maggio al ginocchio sinistro: problemi congeniti alla rotula, intervento sui collaterali a Pistoia da parte del professor Enrico Castellacci e poi avanti con la rieducazione. «La chiamata della nazionale ci ha scombussolato i piani», afferma Carli.
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