Fra baccalà veneto e stoccafisso alla bolognese

Caro Granzotto, mi riferisco al suo: «Carmelo Briguglio, l’eccipiente della nostra politica». C’è qualcosa che non afferro, alla fine della sua risposta a Mauro della Porta Raffo. Come devo intendere quel Fini «rigido come un baccalà», quando col termine baccalà si indica il merluzzo seccato all’aria, diliscato e salato, quindi abbastanza morbido? Per la suddetta carica istituzionale non sarebbe stato più appropriato il termine stoccafisso, che è il merluzzo intero seccato all’aria, acefalo e con lisca... incorporata (stoccafisso, un vocabolo appropriato, che è tutto un programma!)? A meno che lei non abbia usato il termine «baccalà alla... veneta» o non abbia voluto lasciar sottintendere l’altro significato...
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Sì, ha ragione, caro Gentile, quanto a rigidezza lo stoccafisso la spunta e della lunga sul baccalà. Però sappia, se non lo sa già, che nella patria gastronomica del baccalà, ovvero il Veneto, per bacalà - con una sola «c», come doveroso - si intende il pesce stocco. Cioè il merluzzo essiccato, non quello salato. Il celeberrimo, gustosissimo «baccalà alla vicentina» è fatto con lo stoccafisso. Chi l’acconciasse col baccalà-baccalà spignatterebbe una sbobba insulsa, bastarda (o devo dire meticcia?) e assolutamente priva di carattere. Col baccalà, semmai, si prepara il ligure brandacujun ed è giusto che sia così (il termine trae dal provenzale «brandare», rimescolare, cui s’aggiunse «cujun» perché il continuo, annoiante rimescolamento del baccalà, delle patate e dell’aglio veniva affidato al più «cujun» di casa). Badi, caro Gentile, che con queste noterelle gastronomiche non è ch’io voglia divagare, uscire dal seminato. È che siccome lei vorrebbe farmi dire cose che magari m’erano restate sulla punta della penna (vabbè: sui tasti del computer), ho tenuto a sottolineare che talvolta il baccalà è stoccafisso. E talvolta lo stoccafisso è un baccalà. Quest’ultimo, ed ecco che mettiamo il dito sulla piaga, ha anche una accezione popolare - persona sciocca, un po’ tonta - alla quale parrebbe ch’io abbia ammiccato nel definire Gianfranco Fini «rigido come un baccalà». Ma come le viene in mente? Ma lo sa che Fini è solo a due gradini dal Colle (e tanti ne mancano alla signora Elisabetta per divenire First common-law wife)? Un po’ di rispetto, che diamine. Lei mi dirà che al momento Fini è solo quello che è, nella sua duplice versione di presidente della Camera e di traffichino politico in vena di abiura e dunque di frode nei confronti dei suoi elettori, per non parlare dell’ingratitudine verso colui che lo sdoganò, traendolo dal covo di via della Scrofa per catapultarlo nell’arco costituzionale, fonte d’ogni potere e pompa. Be’, anche così, fa lo stesso. Come scrissi, Fini mi fa impazzire non per la sua intelligenza, facoltà della mente umana della quale ha la privativa Massimo D’Alema.

Ma per la versione macchiettistica e prosopopeica che dà della carica istituzionale che ricopre, essendo probabilmente convinto che l’autorità, anche quella morale, si manifesti nel portamento ingessato, nel gesto e nella camminata solenne, nell’ardua fronte aggrottata che in teoria dovrebbe riflettere, campa cavallo, i profondi pensieri che vi turbinerebbero dietro. Ecco, qui sì, qui qualcuno potrebbe trarre delle conclusioni non precisamente lusinghiere per il nostro farefuturista. Però io, caro Gentile, di certe cose non m’impiccio e mi fermo al baccalà.

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