Bianco, nero, rosso, blu, viola. La corsa di Obama è una tavolozza: se mischi trovi la strada. Diverso, Barack. La pelle è quasi un dettaglio: il primo afroamericano alla Casa Bianca è la storia che prova a entrare dalla porta principale. Una madre americana, un padre keniota, laspetto scuro, leducazione da bianco. Cè questo. Cè di più. È la sfumatura che diventa dominante.
Obama piace perché è giovane, perché sa parlare, perché seduce, perché cancella una generazione che forse ha fallito troppe volte. Piace anche perché è democratico, ma in fondo un po anche repubblicano. Sinistra, destra, centro. Eccoli i colori, gli altri: Newsweek lha definito luomo dellAmerica viola, perché mette insieme il blu liberal e il rosso conservatore. Lhanno chiamato il Kennedy nero. Lui dice grazie, ma si ispira di più a Lincoln. È diverso, Barack. Prende lo stereotipo del democratico lo accartoccia: parla di fede, ringrazia sempre Dio, non demonizza gli avversari repubblicani. Bush lha coccolato più volte: «Senatore, mi piacerebbe avere qualche motivo per fare una battuta su di lei, ma sarebbe come prendere in giro il Papa. Mi dia qualche spunto per favore: sbagli almeno una parola».
Affascina, colpisce, prega, piange. Umano. Uno che fumava, che ha provato la cocaina, che sbaglia, uno che non vuole dare limpressione di essere perfetto. È un Reagan democratico. Finora anche una sua smorfia ha contato più delle parole di Hillary. Una ruga, un sorriso, un mugugno. È come se le idee non servissero perché quello che vuole vedere la gente è lui. Cioè il volto nuovo. Obama se la gode e ogni tanto si preoccupa: «A volte faccio passare Paris Hilton per una reclusa». I nemici dicono che finirà leffetto, che quando si spegnerà il fenomeno mediatico, Barack tornerà normale. Forse. O forse no. Time lha chiamato il «prossimo presidente». Quando? Prima o poi. Perché Obama per loro, per molti, per altri, resterà. Allora non importa se arriverà alla nomination.
Conta che il senatore dellIllinois a 46 anni sinfila dove gli altri non arrivano. "The conciliator", ha scritto il New Yorker: «Pensa progressista e si esprime da conservatore». Quindi la fede, cioè la svolta. Gli altri democratici hanno paura di dire che la religione conta. Lui no. Osanna al Messia laico. Così ci sono gruppi di repubblicani che hanno aperto blog e raccolte fondi per lui. Eccolo il nuovo Reagan: Ronald aveva frotte di democratici pronte a seguirlo anche se era uno dellaltra parte. Ora tocca a Barack. Senza pregiudizi e senza barriere ideologiche. Obama è un sognatore pragmatico, cioè un ossimoro nella vita, ma non nella politica. Sa ascoltare e sa parlare. Toglie la giacca, arrotola le maniche della camicia, non urla, non insulta, non si agita: si siede su uno sgabello e va.
Qui cè il romanzo dellAmerica che comincia dal basso e può arrivare in alto. Comincia da un immigrato del Kenya che conosce una giovane bianca del Kansas, se ne innamora e la sposa. Comincia il 4 agosto del 1961. Comincia dal nome: Barack Hussein Obama Junior. È la storia di un Paese che accoglie, accetta, alleva. Barack è andato e tornato: ha vissuto in Indonesia, sè laureato a New York, poi ad Harvard. La sua vita è quella di uno che ce la fa, sempre. Nessun nero aveva mai diretto la Harvard Law Review. Arrivò lui e ci riuscì. Decise di candidarsi alla Camera dellIllinois e decise di rifiutare lappoggio politico del sindaco di Chicago Richard Daley: nessuno aveva mai vinto in quel distretto senza. Arrivò lui e ci riuscì. Allora decise di candidarsi per il Senato. Mai uno senza esperienza politica nazionale aveva tenuto il discorso chiave in una convention presidenziale. Arrivò lui e ci riuscì.
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