Cultura e Spettacoli

Al-Bassam: «Il mio Amleto parla arabo»

da Londra
Il teatro come ponte fra la cultura occidentale e la cultura araba e come strumento di secolarizzazione nelle società islamiche più tradizionaliste. Un impegno che lo scrittore e regista anglo-kuwaitiano Sulayman Al-Bassam si è assunto negli ultimi anni, imponendosi all’attenzione della critica internazionale con un adattamento dell’Amleto shakespeariano in lingua araba, Al-Hamlet Summit, interpretato da un cast pan-arabo e rappresentato a Londra, Edimburgo, Varsavia, Tokyo, Seoul, Singapore, Tunisi, Teheran e quest’estate, massimo alloro, al Castello di Elsinor in Danimarca. E non a caso in questi giorni la Royal Shakespeare Company, che in Inghilterra è quasi un’istituzione, gli abbia affidato un adattamento “arabo” del Riccardo III per l’anno prossimo. Lo scrittore divide il suo tempo fra il Kuwait e Londra, dove la sua compagnia teatrale Zaoum ricalca l’idea futurista russa di un linguaggio particolare per fare teatro, un’idea che è alla base dei suoi adattamenti rivolti appunto a due culture in uno stile che intreccia la tradizione orale della poesia araba e la retorica della politica attuale. Lucido e critico nei confronti delle responsabilità dei governi arabi nell’attuale conflitto Est-Ovest, nelle sue pièces rivolte a due culture in perenne contrasto Al-Bassam tenta di elaborare le complessità morali di due mondi fraintesi e non compresi, ma anche le molte diversità degli stessi Paesi arabi, dove in gran parte il teatro è controllato dallo stato perché non rientra nella tradizione della cultura islamica che predilige altri linguaggi per raccontare e descrivere la storia. Il suo Al-Hamlet Summit è un quadro penetrante della politica e delle emozioni del mondo arabo, e al tempo stesso un’analisi delle ossessioni mediatiche dell’Occidente. «È - afferma Al-Bassam - una riscrittura dell’Amleto da una prospettiva araba contemporanea e al tempo stesso antica, ambientata durante un vertice in uno stato arabo sull’orlo della guerra, assediato da nemici all’esterno e dall’islam sempre più politicizzato all’interno. È una critica molto forte del mondo arabo e del proliferare dell’integralismo, e dell’atteggiamento dell’Occidente». La sua versione di Riccardo III seguirà la stessa falsariga per affrontare il tema di Saddam Hussein e degli orrori commessi nel partito Ba’athista. «È un’indagine sulla macchina della tirannia, sulle tecniche di seduzione che impiega», spiega. Gli chiedo se politica, teatro e cultura siano intercambiabili. «La globalizzazione della politica - risponde - è ingannevole, non promuove il dialogo fra due culture, soltanto una visione “vuota” del mondo. La cultura, il teatro, invitano a riflettere sulle complessità e sulle differenze, il debole non va solo compianto né il crudele soltanto odiato». Al-Bassam ribadisce che nel mondo arabo, per la maggior parte, il teatro è una potente arma di modernizzazione e di progresso, «uno strumento di sviluppo sociale come in nessun’altra parte del mondo. È una sfida, si corrono dei rischi ma ce n’è un gran bisogno. Il teatro deve essere liberato dal controllo dello stato». I suoi commenti sul terrorismo islamico, sui recenti attentati a Londra e sul Mar Rosso sono fermi. «I leader musulmani hanno il dovere di condannare all’unanimità, con molta chiarezza e senza riserve le azioni perpetrate. Ma il terrorismo è una questione vasta, ci sono terrorismi di diverso genere, con obiettivi, motivazioni e organizzazioni diverse. Non è tutto terrorismo “islamico” motivato dal principio di Jihad, ci sono molti problemi interni, c’è un conflitto culturale in quella che dovrebbe essere una delle aree più ricche e più middle class della terra ma che in realtà è in mano a dei regimi totalmente corrotti che vietano ogni progresso». Il concetto di democrazia è incompatibile col mondo islamico? «Certo che no, il problema è la mancanza di un impegno concreto da parte dei governi. Quando parliamo dei Paesi arabi in termini politici non parliamo del mondo arabo che è tutta un’altra cosa.

Ciò che manca nei Paesi arabi è un’etica multiculturale».

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