È odiato più delle banche, delle multinazionali, delle politiche monetarie. I black bloc vedono nero solo a sentirlo nominare considerandolo il nemico pubblico «numero uno» del movimento mascherato: parliamo di Vincenzo Canterini, una vita nella Celere di cui è ormai un’«icona», già comandante del celebre Settimo Nucleo di Roma contro il quale l’onda nera di Genova si scontrò a ripetizione avendo ogni volta la peggio. Sotto schiaffo per i fattacci della Diaz, Canterini s’è dichiarato innocente mettendo la faccia a difesa dei suoi uomini. In attesa della pronuncia della Cassazione sulla condanna, dice la sua sulla guerriglia di Roma. «Una seconda Genova, un bis senza morti», sentenzia. «È andato tutto drammaticamente storto. Se non si cambia l’andazzo in piazza, se si insiste con questa incomprensibile strategia attendista di “contenimento” dei picchiatori, la prossima volta insieme al furgone delle forze dell’ordine vedremo bruciare anche un padre di famiglia in divisa. Garantito».
Garantito?
«Sì. Ormai questi teppisti col passamontagna non hanno più remore. Fanno quello che fanno perché coperti da una sorta di immunità: non rischiano in piazza con la polizia, non rischiano dopo la galera. Molti di loro hanno addirittura alzato le braccia al cielo quando il blindato in piazza San Giovanni bruciava senza sapere se i due carabinieri erano riusciti a scappare. C’è un salto di qualità preoccupante».
Lei li ha affrontati ovunque, per anni. Chi sono davvero i black bloc?
«Figli del disagio, e non solo. Somigliano ai casseurs francesi, provengono dalle falangi ultras più scatenate, in gran parte frequentano centri sociali e circoli anarchici noti. Le grandi manifestazioni sono il richiamo per i black essendo più facile, per loro, nascondersi nella massa. Rispetto al G8 di Genova hanno affinato ancor più le tecniche d’assalto mordi e fuggi, colpisci e scappa, agguati a elastico. Si tratta di piccoli gruppi, svelti di gambe e di braccia, continuamente riforniti di sassi, spranghe, bombe carta. Come a Genova si sono mischiati ai manifestanti pacifici per poi staccarsi dal corteo, in due o tre punti, così da calarsi sul viso sciarpe e passamontagna e rientrare dentro. E se a Genova il furgone con le armi seguiva i manifestanti, qui hanno riempito di munizioni auto e camioncini con largo anticipo, parcheggiandoli ai bordi del tracciato previsto dal corteo. C’è stata una grossa organizzazione, una regia “politica”, e la riprova è nella presenza di numerosi “avvocati del movimento” che nei cortei pacifici, chissà perché, non si fanno mai vedere».
Come si neutralizzano i black bloc?
«Il sistema è semplice, ma alla politica non piace, preoccupata com’è di evitare il rischio di possibili casini. Si preferisce lasciar fare il tiro al bersaglio per ore sulle teste di poliziotti e carabinieri costretti a star fermi dietro ai blindati perché l’ordine è di non rispondere, contenere, piuttosto che reagire al volo, con un’azione chirurgica, di pronto intervento, che impedirebbe loro di rovinare manifestazioni assolutamente pacifiche».
A parole è facile, «tecnicamente» come si fa?
«L’esperienza del 7° nucleo di Genova è irripetibile ma il modello di piccoli nuclei addestrati all’intervento rapido, che si muovono parallelamente al corteo, in strade laterali, restando invisibili allo stesso, risolverebbe ogni problema. A Genova, questo sistema, ha funzionato sempre quando ci è stata data la possibilità di intervenire al volo. L’intervento rapido, alle prime avvisaglie di scontri, frena le violenze. I Nuclei vanno attivati sentendo le comunicazioni radio o recependo le informazioni dei poliziotti sugli elicotteri, collegati ad altri nuclei da far confluire qualora l’intervento dovesse rivelarsi più complicato del previsto. E poi occorre tornare all’antico: il corteo va blindato. Tante divise in cima, e altrettante in coda. Subire in silenzio per rispondere solo in casi estremi autorizza questi scalmanati a distruggere impunemente tutto».
Tremila uomini delle forze dell’ordine e i black bloc cantano vittoria. Servono le leggi speciali?
Non servono a niente. Occorre avere coraggio e palle, affrontare di petto la situazione senza timori, far vedere che lo Stato c’è e non perdona. Va bene la difesa delle sedi istituzionali ma il resto della città, con migliaia di poliziotti e carabinieri a disposizione, non può essere lasciata in mano ai due-tremila delinquenti antagonisti che ancora sento bonariamente chiamare “i ragazzi” dei centri sociali”».
Ma la polizia sa chi sono? Sapeva quel che poteva succedere?
Cosa non ha funzionato?
«Qualcosa è andato storto, non ci sono dubbi. Ma fino a quando non si cambierà il modo di concepire l’ordine pubblico il rischio di vedere situazioni così è altissimo. I Servizi, e la Digos, avevano allertato chi di dovere. Allora mi chiedo: possibile che tutta questa gente si sia organizzata da ogni parte d’Italia senza che nessuno facesse niente per impedirlo? Possibile che non riusciamo a individuare, seguire, intercettare, gente che si muove seguendo le indicazioni e i richiami sui blog anarchici? Eppoi. Chi ha portato i mezzi con le armi deve avere una base logistica, un appoggio sicuro. E secondo voi qual è questo posto? Sono stati controllati i centri sociali?»
Basta porgere l’altra guancia, dunque?
«Sì, basta. Ovviamente la reazione, le cariche, l’intervento della Celere, è l’estrema ratio. Ma qualcosa si deve pur fare. I black bloc devono sentire il fiato sul collo. Devono capire che al primo sbaglio rischiano di grosso. Si devono mettere in testa che non solo a New York si va in galera se infrangi le regole. Nessuno lo sa ma c’è una legge che vieta a chiunque di andare ai cortei col passamontagna: ecco, cominciamo da qui. Quando si dice che la polizia deve “contenere”, sono d’accordo.
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