Quattordici ore sulla minuscola piattaforma al «quarto piano» di una gru, a 40 metri d’altezza, minacciando di buttarsi per protestare contro la fame nel mondo che colpisce in particolare i bambini. Quattordici ore di trattative con polizia e vigili del fuoco fino all’intervento risolutivo del sostituto commissario Silvano Gattari che, facendo leva sulla figlia, è riuscito a farlo scendere.
Gattari è una delle ultime istituzioni in via Fatebenefratelli, dove ha già passato una quarantina d’anni tra terrorismo e malavita, soprattutto quando questa aveva i nomi di Vallanzasca, Turatello, Epaminonda. Partito da vice brigadiere, allora la polizia era un corpo militare, ha salito tutti i gradi fino al massimo di sostituto commissario, una sorta di «maresciallo più». Ieri mattina quando è entrato in servizio gli hanno detto che «quello» era ancora sulla gru. «Quello» è Gashi, albanese di 35 anni: qualche problemino con la giustizia in gioventù, furto, danneggiamento, resistenza. Poi mette la testa a posto, si trasferisce a Saronno, apre una piccola ditta di trasporti, si sposa con un’insegnante italiana, da cui due mesi fa ha una figlia, ed è ora in attesa di carta di soggiorno.
E forse proprio la nascita della figlia lo rende più sensibile alle sofferenze dei bambini. L’altro giorno legge sui giornali il rapporto Fao sulla fame del mondo, una piaga che colpisce in particolare i più piccoli, costringendoli a mangiare insetti per sopravvivere. La notizia lo sconvolge, scrive una lettera aperta al Washington Post e alla stessa Fao, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di malnutrizione. Verso le 21 si ritrova in piazza Meda, adocchia una gru alta circa 60 metri e decide di dare più corpo alla sua protesta. Così inizia a scalarla fino ad arrivare alla quarta piattaforma da dove lancia il suo messaggio.
Dopo pochi minuti sul posto ci sono le volanti e i vigili del fuoco, un funzionario cerca di convincerlo a scendere ma lui è irremovibile e minaccia di buttarsi se qualcuno cerca di andarlo a prendere. In Questura si decide di prendere tempo, insomma di lasciarlo lì, nella speranza che fame e stanchezza sfianchino la sua resistenza e lo inducano a scendere volontariamente. Niente da fare, lui è deciso a resistere, così si becca pure l’acquazzone che batte la notte milanese. La mattina dopo è ancora lì, affamato, stremato, bagnato come un pulcino ma non piegato, quando monta in servizio Gattari. L’esperto poliziotto lascia la scrivania e va a trovarlo. Gli parla senza megafono, in modo da costringerlo a scendere di tre rampe, per poter sentire quello che dice. Gashi sembra però fatto di ferro, sale e scende una decina di volte senza dar segni di cedimento.
A questo punto Gattari cambia tattica e inizia a parlargli della figlia. Ha appena due mesi, cosa le succederebbe se il padre finisse in galera o peggio si buttasse giù? E la carta di soggiorno? Mica gliela danno se fa di queste stupidaggini. Tutti discorsi pieni di buon senso che alle 11 fanno breccia nell’albanese che lentamente scivola dall’incomoda posizione e si getta nelle braccia di Gattari. «Scusatemi per il trambusto, ma il problema dei bambini che muoiono di fame è così grave che meritava un gesto eclatante».
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