Professori, politici, industriali, impiegati e maestre. Vanno tutti, nello studio di Fiorella Donati: il desiderio di bellezza è democratico e non conosce crisi. Anche se per qualcuno è ancora tabù. Fiorella Donati è chirurgo estetico e docente di chirurgia plastica endoscopica alla Statale di Milano. Ha lavorato a New York, Miami e Londra. Ora ha una clinica a Milano, a due passi da SantAmbrogio.
Nellanno della crisi gli interventi sono aumentati del 15 per cento. Migliaia di persone ricorrono alla chirurgia estetica. Non è troppo?
«Molti credono che la chirurgia estetica non curi una patologia. Il problema è che per la cultura generale la bellezza non è da esaltare, ma da nascondere».
Non è vero che il ritocchino è diventato unossessione?
«Negli Stati Uniti unalta percentuale della popolazione femminile è portatrice di protesi al seno e in tutta serenità. Ormai è normale, per migliaia di persone. Ma cè ancora una critica forte verso chi pratica la chirurgia estetica».
Cè un atteggiamento moralista?
«Spesso, di fronte a una persona che decide di rifarsi, la reazione del senso comune è: ma se sei nata con il sedere grosso, perché non te lo tieni?».
Si dice: è la natura...
«Ma ormai si può decidere in tutta serenità di migliorarsi. E lintervento è sicuro. Però questo atteggiamento è ancora criticato da molti».
È soltanto per pregiudizio?
«Se una persona nasce incolta e vuole migliorare allora studia, legge, viaggia. E questo va bene. Perché non può migliorare anche il suo corpo e il suo viso?».
Anche in questo caso, la vecchia antitesi anima-corpo?
«Cè una prevenzione culturale, lidea che la bellezza non possa essere ricercata e perseguita in questo modo».
Ma è un atteggiamento solo italiano?
«No, è tipico della cultura europea, che in questo è un po bigotta. Ma la bellezza del corpo è un valore antico: oggi abbiamo un mezzo in più per ottenerla».
A volte non si vuole ottenere un po troppo?
«La chirurgia estetica nasce per curare il dismorfismo, che è una patologia vera, come può esserlo una malformazione epatica».
Che patologia è?
«È unalterazione della forma rispetto alla normalità. Se ho la vita sottile e un sedere enorme, di 140 centimetri, mi discosto dalla media. Ci sono donne con taglia zero, oppure con un seno grande e uno piccolo; persone con nasi spropositati, che hanno problemi a respirare. E questi dismorfismi possono causare alterazioni psicologiche gravi».
Si può considerare una forma di debolezza: anziché cercare di accettarmi come sono, chiedo aiuto al bisturi...
«Ma allora anche colorarsi i capelli è debolezza. Ci sono donne che non si sono mai spogliate davanti al marito, che si vergognano di guardarsi allo specchio. Perché non dovrebbero fare qualcosa per stare meglio?».
Cè anche chi critica per questioni estetiche, però. Non è che dal bisturi escono tutti belli, ma uguali?
«Ma questa è la cattiva chirurgia, che combatto sempre. Quando sono arrivata a Milano, alle feste e alle sfilate vedevo alcune milanesi tutte identiche: naso allinsù, labbra a canotto, zigomi tirati, seno gonfio. In questo caso la chirurgia è malfatta e la critica è giusta».
Ci sono altri critici?
«Quelli del vorrei ma non posso: si farebbero di tutto, ma non hanno le possibilità, e quindi cercano di risparmiare su clinica, anestesista, ecc., oppure hanno paura dellanestesia. Altri poi non hanno il coraggio di ammettere una piccola debolezza, un sogno nel cassetto. Ma sono dalla parte di chi critica un risultato brutto».
Quando è brutto?
«Quando vedi una faccia per strada e ti accorgi che cè stato lintervento: leffetto è grottesco, caricaturale. Purtroppo è così per il 50 per cento dei casi: prodotti dei chirurghi dellultima ora, medici non specializzati, che operano anche chi non ne avrebbe bisogno».
Ogni giorno sono pubblicizzate tecniche nuove, ora c'è perfino la liposuzione in pausa pranzo. Non ci sono eccessi?
«Sono le deformazioni della chirurgia. Ci sono colleghi che usano materiali terribili, altri impreparati, altri ancora che ti rifanno da capo a piedi, senza pensarci due volte».
In quanti casi lintervento serve davvero?
«Diciamo che su dieci pazienti ne opero tre».
Le operazioni più richieste?
«Il lifting facciale, che è un rimodellamento completo di cute e muscoli. Mi faccio portare una foto del paziente da giovane: così i tratti del viso sono rispettati. In questo caso la persona si sente meglio, come certe splendide cinquantenni... ».
Intende dire che a una certa età la bellezza è sempre aiutata?
«Ma certo, il miracolo non esiste. Se loperazione è fatta bene non si nota, ma cè. E poi è molto richiesto lintervento al seno».
Un classico...
«È vero che si vedono certi seni orribili: sembrano palloni. Ma io utilizzo una tecnica bianca, non si perde una goccia di sangue, la degenza dura poche ore e alla sera si può tornare a casa, senza drenaggi. La protesi è inserita dietro il muscolo, perciò il seno rimane a goccia, naturale».
Quanto sono alti i rischi?
«Le complicazioni non dipendono dallintervento ma dalla cattiva gestione del paziente».
È colpa dei suoi colleghi?
«Cè chi non ha mai conseguito la specializzazione in chirurgia plastica ed estetica, chi opera in strutture non specializzate, senza sicurezza».
E il prezzo conta?
«Una mastoplastica additiva costa fra gli otto e i dodicimila euro. Se la paghi 4mila vuol dire che le protesi non sono buone, perché le protesi da sole costano. E poi il bravo chirurgo deve avere senso estetico».
Non vi accusano mai di guadagnare sulle debolezze altrui?
«No, di solito cè ammirazione, da parte del pubblico e dei colleghi. Ho rifatto il viso a una psichiatra importante, a Parigi, e dopo mi ha detto: Mi hai ridato la vita più di qualunque terapia».
Chi sono i suoi pazienti?
«Persone normali, sane: professori, politici, impiegati, industriali, maestre. Gente che vuole investire i soldi per stare meglio. È una scelta ponderata.
Con gli ossessionati che fa?
«Se lintervento è inutile li rimando a casa. Sono persone che hanno altri problemi, non estetici. Il guaio è che spesso trovano chirurghi compiacenti».
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