Un anno, quello che sta per entrare, politicamente ed economicamente difficile. Per il rallentamento della crescita, per il conflitto sulle pensioni e per la coesione della maggioranza di governo. In un quadro politico di sfarinamento si staglia, poi, un lungo braccio di ferro nel riassetto dei poteri economici e finanziari del Paese. Dopo limprovvisa e rapida fusione bancaria tra Intesa e San Paolo, un colosso che capitalizzerà in Borsa circa 70 miliardi di euro, si è subito scatenato un incrociar di spade per un nuovo equilibrio azionario delle assicurazioni Generali.
Nelle scorse settimane importanti pacchetti azionari erano passati di mano. Tra quelli che hanno acquistato a mani basse e sono venuti allo scoperto cè Roman Zaleski, un finanziere di gran fiuto e ricco di relazioni giuste. È il caso del rapporto che ha con Giovanni Bazoli, il presidente di Banca Intesa che negli ultimi tempi ha visto crescere in maniera notevole il suo peso nel sistema creditizio italiano con le operazioni di fusione Banca Intesa-San Paolo, Banca Lombarda-Bpu, Popolare di Verona-Popolare Italiana.
La prima è la più importante di queste fusioni, quella tra Intesa e San Paolo, ha esteso legemonia di Bazoli anche sul sistema assicurativo tanto da costringere lAntitrust di Antonio Catricalà ad intervenire nel merito della stessa fusione ponendo precise prescrizioni. Tra queste la limitazione di voto posta ai rappresentanti delle Generali nel futuro consiglio di amministrazione di Intesa-San Paolo. Le Generali, infatti, sono il primo socio industriale del nuovo gruppo bancario. A loro volta però, vedono nel proprio capitale azionario sia Banca Intesa che San Paolo con poco meno del 2 per cento a testa. Ed è qui che sorge la vera battaglia. Vediamo perché.
Il primo azionista delle Generali è storicamente la Mediobanca, con oltre il 13 per cento, che a sua volta è governata da un patto di sindacato tra la Capitalia di Geronzi, i francesi di Vincent Bollorè e alcuni privati tra cui Ligresti, Tronchetti Provera, Mediolanum, Fiat, Pesenti e altri minori. LUnicredito di Alessandro Profumo, altro autorevole azionista di Mediobanca con il 9 per cento, è invece più defilato e probabilmente uscirà definitivamente dalla compagine azionaria di piazzetta Cuccia. Mediobanca, da sola, anche per lassenza di un leader forte non può essere unalternativa alla crescente forza del sistema Bazoli. Ma Mediobanca e Generali, invece, lo potrebbero essere. Si comprende allora bene perché la guerra viene combattuta su quel terreno.
La forza delle Generali deve essere sterilizzata e resa neutrale nello scontro tra il sistema Mediobanca e quello di Bazoli. Le quote della Fondazione Cariplo e della compagnia di San Paolo, si aggiungono, nel capitale azionario delle Generali, a quelle di Zaleski e a quelle di Intesa e banca San Paolo costituendo così una cordata che ad oggi controlla tra l8 e il 10 per cento. Ancora poco per sconfiggere Mediobanca e soci che possono contare su oltre il 20-22 per cento del capitale delle Generali, ma forse sufficiente per impedire quel corto circuito Mediobanca-Generali che potrebbe contrastare la crescente egemonia di Bazoli sullintero sistema finanziario italiano. Cè lincognita, poi, della Banca dItalia con il suo 4,4 per cento di Generali. Un suo schieramento, che romperebbe una tradizione di neutralità, potrebbe far pendere la bilancia da una parte o dallaltra e oggi per la prima volta alla Banca dItalia cè un banchiere daffari come Mario Draghi che tanta parte ha avuto nella vendita delle aziende pubbliche e nel lento processo di colonizzazione del Paese.
Questi, dunque, i termini della grande battaglia sulle Generali che si sta consumando nel balbettio querulo di una politica che ogni sera, attraverso i telegiornali Rai, ci riempie di dichiarazioni inutili e roboanti e sempre più staccate dalla realtà del Paese.
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