Non siamo nati ieri e dunque sappiamo benissimo che nelle relazioni internazionali a far aggio è linteresse economico, il dare e lavere. Della geopolitica e delle sue esigenze, poi, non ne parliamo. Non ci è ignoto che per la Fiat il Brasile è come lantro di Ali Babà e che è lì che lindustria automobilistica italiana fa cassa. Non siamo nati ieri e quindi figuriamoci se digiuni di lezioni e retoriche menate sul reducismo, sulla «lettura» gramsciana degli anni di piombo, sui compagni che sbagliano, sugli ideali traditi o mal riposti da tanti bravi giovani che in buonissima fede scelsero la lotta armata disseminando il selciato di morti ammazzati per costruire il «futuro migliore». No, non siamo nati ieri e tutte queste belle cose fanno parte del nostro cosiddetto bagaglio culturale, ciò che ci porta a vedere il mondo con occhio disincantato e il più delle volte rassegnato. Però arriva il momento in cui la fuffa ideologica, il fregnacciume sociologico, i balletti e i salamelecchi della diplomazia non riescono più a far argine allindignazione o per meglio dire alla (...)
(...) rabbia. Ed è il caso del rifiuto da parte del presidente brasiliano Lula di concedere la più e più volte richiesta estradizione di Cesare Battisti.
Torna difficile se non proprio impossibile comprendere quella faccia da schiaffi, quellarrogante e presuntuoso delinquente di Battisti nella categoria - che per altro non riconosciamo - degli eversori che sbagliarono sì, ma per unidea giusta. Battisti è né più né meno che un serial killer. Appena diciottenne è sbattuto in galera per rapina a mano armata. Quando ne esce e decide di abbrancarsi a un gruppo eversivo, sceglie quello di «Proletari Armati per il Comunismo», attratto più da quell«armati» che dal resto. Tantè che la sua carriera di terrorista fu tutta dedicata alla rapina armata piuttosto che alla realizzazione del comunismo. Quando dunque Lula definisce «umanitaria» la decisione di tenersi stretto a sé Battisti, insulta non solo le vittime e i parenti delle vittime di quel teppista, ma tutti noi. Giudicandoci belluini selvaggi per voler punire a norma di codice una canaglia capace di ripetutamente uccidere a sangue freddo.
Non gliela possiamo far passar liscia, a Lula. Non possiamo accontentarci di mezze misure. Già il dichiarare che «il Governo italiano si riserva, sulla base della decisione del presidente brasiliano Lula, di considerare tutte le misure necessarie per ottenere il rispetto del trattato bilaterale di estradizione, in conformità con il diritto brasiliano», è il segno della resa. Si riserva? Considerare? In conformità del diritto brasiliano? Il diritto brasiliano è quello interpretato da Lula e dal suo gesto «umanitario». Ovvero la negazione medesima del diritto. E noi dovremmo tenerne conto tra una considerazione e laltra, tra una riserva e laltra?
Un tempo, in simili casi, una nazione con gli attributi e che non voleva esser trattata a pesci in faccia mandava le cannoniere. Non si chiede tanto, anche se per tener a bada la «Serpenton do mar» e la «Terror do mundo», orgoglio della marina militare brasiliana, basterebbe una sola motovedetta della nostra Guardia costiera. Non si chiede tanto, ma alzare la voce sì, battere i pugni sul tavolo sì, minacciare sì. Ci andranno di mezzo le relazioni economiche? Quandanche fosse, pazienza, perché quello servitoci da Lula non è rospo da mandare giù in nome di qualche Panda in più o in meno. E poi voglio vedere il Brasile che strozza in un embargo i suoi più importanti stabilimenti industriali.
Parliamogli dunque a muso duro, al Calamaro, facciamogli capire che per compiacere le Carle Bruni e gli Adriani Sofri, le damine e i cicisbei della più imbecille intellighenzia radical chic, lha fatta assai fuori dal vaso umiliando gli italiani. Diciamogli chiaro e tondo che si deve reingoiare quella scellerata scelta «umanitaria», che grida vendetta al cospetto del buon senso comune e della civile convivenza fra i popoli. Cesare Battisti non è una vittima. Le vittime hanno altri nomi.
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