La beffa della legge Pinto: salva i processi lumaca e non risarcisce le vittime

Il ministro Severino ha già assicurato: "Un processo civile celebrato in tempi ragionevoli è assolutamente necessario". Il sogno nel cassetto è che duri massimo 3 anni

La beffa della legge Pinto: salva i processi lumaca  e non risarcisce le vittime

Roma - Mario Monti lega giustizia ed economia, annunciando una riforma del settore civile. «È essenziale - dice il premier, nella conferenza stampa di fine anno - per la competitività del Paese e la sua attrattività rispetto agli investitori esteri».
Dovrà occuparsene il ministro della Giustizia, Paola Severino, che ha già assicurato: «Un processo civile celebrato in tempi ragionevoli è assolutamente necessario per la ripresa dell’economia di questo Paese». Il suo sogno nel cassetto è che duri massimo 3 anni. Oggi non è neppure il tempo per un solo grado di giudizio e per l’iter complessivo siamo al doppio, spesso al triplo.
Quello dei «processi lumaca» è uno scandalo tutto italiano e in un momento di crisi che richiede agli italiani duri sacrifici, ci si chiede come può lo Stato pretendere dai cittadini il rispetto delle regole se è il primo a non rispettarle. Parliamo della beffa della legge Pinto, nata nel 2001 sotto la pressione delle sanzioni dell’Unione europea per la violazione della «ragionevole durata dei processi». Prevede il risarcimento dei danni subiti da un cittadino appunto per processi lunghi anche decenni o per l’ingiusto carcere. Da allora c’è stato un boom di ricorsi alle corti d’appello, con un aumento esponenziale dal 2006 ad oggi: si è passati da 20.633 a 34.297.
Pensate che, almeno, le vittime siano state adeguatamente risarcite? Neppure per sogno. Paradossalmente, sono aumentati a dismisura i ricorsi anche contro l’eccessiva lentezza del giudizi per la legge Pinto. «I tempi medi di durata - ha detto il Primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, all’ultima inaugurazione dell’anno giudiziario-mostrano una tendenza all’allungamento, passando da 455 giorni del 2007 ai 476 del 2009, con un incremento percentuale del 4,7 per cento».
L’«equo indennizzo» richiesto dai cittadini, poi, oltre ad arrivare (quando arriva) dopo lunga e faticosa trafila giudiziaria, non sembra affatto equo. Dovrebbero essere 750 euro per ogni anno di ritardo nei primi 3 e mille per i successivi, ma il tariffario è controverso e si discute ancora da quale data fare i conti. Così, le condanne dell’Ue continuano a fioccare e anche quelle della Cassazione per somme incongrue liquidate dai giudici d’appello. Insomma, la legge Pinto non funziona.
«È stato un ipocrita stratagemma - spiega Gianfranco Anedda, ex consigliere laico del Csm - che non è servito né a sanare il male, né ad arginare le richieste di risarcimento e l’ammontare dei danni. La cosa più grave è che, con una serie di provvedimenti legislativi, i beni del ministero della Giustizia (unico responsabile) sono stati dichiarati non pignorabili, cioè sottratti alle legittime azioni dei creditori.

In sostanza il creditore è del tutto disarmato: ha in mano una sentenza della magistratura, conquistata con anni di sofferenze e dopo una nuova controversia giudiziaria, che è meno di una vittoria di Pirro. Se un privato si comportasse così sarebbe truffa, se lo facesse un imprenditore bancarotta fraudolenta. Ma nessuno protesta e né governo, né Parlamento, pensano a dotare il ministero dei fondi necessari».

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