Benigni non imita,ma copia: la laurea gli ha dato alla testa

Ha scritto Sandro Bajini: «È questo che m’inquieta:/ non puoi muovere un passo / che inciampi in un poeta». Si riferiva alle case editrici, ma l’epigramma dispettoso cade a fagiolo per la sceneggiatura di La tigre e la neve, appena pubblicata da Einaudi con sontuosa prefazione di Roberto Benigni (infatti la Repubblica l’ha anticipata in prima pagina). Ora non è un segreto che il film, venuto bruttino e freddamente accolto dal pubblico, fosse un centone: cioè un denso collage di citazioni in versi, da Montale a Prévert, da Broch a Boye, da Bradbury, cucite insieme con erudita/esibita acribia, sì da trasformarlo in un gioco culturale a enigmi, in un elogio della Poesia intesa come pratica di vita.
Trapunta di nuove citazioni, la prefazione assomiglia sulle prime a una di quelle famose rubrichette domenicali di Biagi; poi, a mano a mano, emerge il senso dell’operazione letteraria. Evocando il Picasso di «Io non imito, copio», Benigni ne fa un divertissement alla Eco, una riflessione sul senso e i limiti della creazione artistica. Purtroppo, a forza di omaggiare gli dei della rima, l’attore-regista dimentica ciò che era: un comico ruspante e irriverente al quale una laurea dantesca sembra aver dato alla testa, spingendolo nell’empireo della stupefazione perenne.

Va a finire che sprizza più poesia il commento accluso di Stefano Bartezzaghi, laddove si legge: «Ci sono pomeriggi che passano come endecasillabi, situazioni quotidiane che rimano l’un l’altra, viaggi in autobus simbolisti, pranzi al ristorante post ermetici».

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica