Il benvenuto di Bin Laden a Obama: «È come Bush, semina odio e vendetta»

La grande sfida di Barack Obama inizia duellando con il nemico Osama. Il presidente americano non fa in tempo a metter piede sul sacro suolo saudita e già l’icona del terrore integralista fa sentir la sua voce. A fargli da tramite ci pensa Al Jazeera puntualissima nel sincronizzare la messa in onda del messaggio audio del capo di Al Qaida con l’atterraggio dell’Air One all’aeroporto di Riad. Nonostante i mille dubbi sull’esistenza in vita di Bin Laden e le ipotesi di montature audio capaci di rigenerare la voce del capo terrorista (secondo molti esperti la registrazione è quanto meno vecchia) la scenografia virtuale creata da Al Jazeera ha una sua efficacia. Il viaggio di Obama in Medio Oriente è una sfida ad Al Qaida, e una sfida all’Iran, pronto a sottrarre a sauditi ed egiziani il controllo delle opinioni pubbliche mediorientali e a teleguidare le milizie armate di Hezbollah ed Hamas.
Se non è un caso che il viaggio di Osama inizi dall’ incontro con l’84enne sovrano re Abdallah, custode dei luoghi santi e primigeni dell’Islam, non è neppure un caso che l’icona del terrore islamico inizi da lì la sua controffensiva. Ma se il presidente americano avanza in presa diretta, la replica del nemico invisibile suona come la solfa un po’ rétro di un avversario costretto nella sua tana. «Obama segue la linea di chi lo ha preceduto, la linea del disprezzo e dello spirito di vendetta nei confronti dei musulmani - declama l’etereo sceicco accusando l'amministrazione americana di appoggiare l’offensiva pakistana contro i talebani, causando l’espulsione di «un milione di vecchi, donne e bambini» dai loro villaggi. «Gli americani - conclude - si preparino a raccogliere il risultato dei semi dell’odio che la Casa Bianca pianta nei decenni». Le minacce registrate suonano inevitabilmente stonate e inefficaci, poco più di un fastidio sulla strada del capo della Casa Bianca. «La disperazione di chi ormai vive nelle caverne» lo definiscono i sauditi. «Un tentativo - dicono alla Casa Bianca - di deviare l'attenzione dal messaggio all’Islam che Barack Obama lancerà domani dal Cairo».
Arrivato senza Michelle - che lo raggiungerà solo in Europa - Obama saluta re Abdallah ricordando la «strategica amicizia» tra i due paesi e viene accompagnato nelle scuderie di Jenadriyah alle porte di Riad. Nel regale «buen ritiro», dove George W. Bush seguì lo spettacolo di 260 destrieri arabi e una caccia con il falcone, Obama ha poco tempo per le distrazioni. Oggi è atteso al Cairo per lo storico discorso di riconciliazione con il mondo arabo dal pulpito dell’università di Al-Azhar, culla del pensiero islamico. Il dopocena e i dialoghi notturni con il sovrano gli serviranno, come da tradizione araba, per discutere gli aggiustamenti a un piano negoziale nato dalla mente del sovrano saudita e destinato a trasformarsi nella nuova arma di pace dell’America. Abdallah è infatti l’ideatore di quella che dal 2002, quando la Lega Araba la fece sua, viene chiamata iniziativa di pace araba.
Quel piano negoziale - basato sul riconoscimento d’Israele da parte di tutti i paesi arabi in cambio del ritiro sui confini del ’67 - è per il presidente statunitense la chiave per restituire un ruolo ai tradizionali alleati degli Usa nell’area trasformandoli nei diretti interlocutori dello Stato ebraico. Quel processo punta, nelle speranze della nuova amministrazione, a ridimensionare l’influenza di Teheran e a riportare Hamas, oggi prigioniero dell’influenza iraniana, sotto la tutela del Cairo e di Riad. Obama sa di dover fare i conti con l’intransigenza del governo israeliano di Bibi Netanyahu, contrario alla nascita di uno Stato palestinese indipendente e sordo alle ipotesi di ritiro dalle colonie, ma sa anche che una disponibilità saudita a rivedere il diritto di ritorno dei profughi palestinesi può fare il miracolo.

Un’iniziativa di pace araba che non preveda più il ritorno di milioni di palestinesi ai luoghi d’origine garantirebbe l’integrità d’Israele e renderebbe Gerusalemme assai più disponibile a colloqui di pace con i palestinesi.

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