Berlusconi e Fini, due ruoli per un partito "pigliatutto"

Molti leggeranno l’intervento «radical» di Gianfranco Fini come la conferma della doppia anima del Pdl. Da un lato il fondatore, Silvio Berlusconi, che rivendica l’autonomia politica e culturale del movimento di popolo che guida da quindici anni, dall’altra il presidente della Camera che si inoltra lungo sentieri di frontiera. Eppure la giornata di ieri ha, secondo me, un altro segno. Siamo di fronte a un obiettivo ambizioso che trova concordi tutte e due le anime. Il Pdl è unito dal sogno del 51%. Uscito dal ghetto di destra, superata la fase difensiva degli anni del giustizialismo trionfante, il nuovo partito del centrodestra assume i connotati del partito «pigliatutto». O Fini vuol fare questo o è pura follia politica. Prendo in considerazione solo la prima ipotesi.
La nuova formazione politica, ecco la mia tesi, non vuole lasciare nessuno spazio al proprio avversario. Il Pdl con Berlusconi assume l’idea di una cultura liberale e moderata che deve guidare una nuova rivoluzione borghese italiana. Con Gianfranco Fini viene alla ribalta quello che Domenico Nania, parlamentare aennino di lungo corso, chiama il «partito che ascolta». Mentre a sinistra alcune correnti di pensiero cercano di uscire in fretta e furia dal mercatismo e dal liberismo, a destra, con Tremonti e Fini (ma non erano concorrenti?), l’idea forza dell’economia sociale di mercato comincia a esercitare una esplicita egemonia. Fini, in sovrappiù, ruba altri temi alla sinistra e li propone al centrodestra. In primo luogo il nesso fra rappresentatività e democrazia governante che gli consente di auspicare una stagione di grandi riforme istituzionali. Nel puntiglioso elenco del presidente della Camera vi sono altre questioni storiche nella narrazione della sinistra. Penso al patto fra generazioni, alla necessità di un nuovo ruolo del Sud, al tema dell’identità italiana che deve fare riferimento agli italiani di altro colore, di altre provenienze etniche, di altre religioni, alla laicità scalfita, secondo Fini, dalla nuova legge sul testamento biologico. Credevo di ascoltare Veltroni.
Non ci sono più questioni che sono interamente appannaggio della sinistra? Il partito «pigliatutto» di Berlusconi e Fini si muove ad ampio raggio, riesce al proprio interno ad attutire le polemiche e accetta una sorta di divisione del lavoro. Il dualismo fra i due leader potrebbe rivelarsi fecondo se consentirà al Pdl di apparire come una formazione politica in grado di guardare anche oltre i suoi tradizionali steccati. È per questo che la giornata di ieri può essere definita come la giornata del «sogno del 51%». È questo l’obiettivo che Berlusconi ha dato al suo popolo e qui si misurerà il successo o meno del nuovo partito.
In questo momento non mi pare che ci sia avversario a sinistra in grado di fermare questa cavalcata verso la maggioranza relativa. Se Berlusconi riuscisse a riannodare i fili del rapporto con Casini quel 51% sarebbe nell’orizzonte immediato. Ma, ecco l’interrogativo, è possibile, ovvero è utile l’obiettivo del 51%? La rana, con rispetto parlando, se si gonfia troppo, scoppia. Ho molti dubbi sul fatto che si possa dilatare a tal punto l’immagine del nuovo partito fino a inglobare alcuni temi cari all’altra parte. La forza del centrodestra sta nel fatto di aver creato un «idem sentire» nel proprio popolo che forse non reggerebbe l’impatto con tematiche visibilmente patrimonio dell’avversario. Il «partito che ascolta», rappresentato da Fini, potrebbe presto fare a cazzotti con un partito che ha cercato in questi anni di liberarsi da ogni egemonia culturale di sinistra. Voglio dire che la forza del Pdl è l’aver legittimato la nuova Destra italiana dandole un’immagine autonoma. Ogni tentativo di forzare lo schema può far saltare l’intero progetto. D’altro canto non è neppure augurabile che il Pdl riassorba alcune tematiche della sinistra.

La logica del bipolarismo, ancor più quella del bipartitismo, prevede una gara per la conquista del centro. Tuttavia la verità è che in questi anni la sinistra non ha trincerato culturalmente il proprio campo per cui è normale che vi siano forze politiche e intellettuali dell’altra parte che tentino di rubarle la scena.

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