Roma - Scuola, università, riforma dei contratti e ora lo sciopero generale. Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, la rottura con la Cgil ormai è insanabile. È d’accordo?
«E chi può dirlo? I rapporti tra le confederazioni hanno sempre alti e bassi. Quando ci incontreremo di nuovo faremo un bilancio dei danni causati dall’ultima impennata della Cgil».
Quindi sul fatto che sia stata la Cgil a rompere non ci sono dubbi?
«Ogni volta che c’è da decidere qualcosa di importante loro si bloccano. Pensavo che questa volta non dovesse essere così, perché avevamo lavorato seriamente insieme. Sui contratti avevamo scritto un documento unitario, ma poi siamo arrivati allo stesso esito del 2004, quando Epifani fece saltare il tavolo con Montezemolo. Anche nel 1998 con D’Alema lo fecero».
Non ci verrà a dire che la Cgil dice «no» anche ai governi guidati dal centrosinistra?
«Anche con Prodi lo schema della Cgil era lo stesso, quando si arrivava al punto di decidere, aprivano nuove questioni. Si impennavano e si bloccava tutto».
Perché lo fanno?
«Perché nessuno in quel sindacato vuole assumersi la responsabilità di prendere decisioni. Generalmente nelle organizzazioni si vota e poi la maggioranza sceglie quale strada prendere».
E la Cgil di Epifani non lo fa?
«Loro cercano sempre l’unanimità e così non arrivano mai a niente. In questo modo diventa difficile misurarsi con una controparte e trovare una sintesi»
Però quello di Corso d’Italia è il sindacato più grande.
«Il sindacato non è solo la Cgil. Esistono anche Cisl e Uil e hanno una forza equivalente».
È sicuro che la politica non pesi nelle scelte di Corso d’Italia?
«La politica pesa sicuramente. Per loro il fatto che al governo ci sia Berlusconi è l’occasione per non chiudere un accordo. D’altro canto non è un caso che dal primo giorno in cui si è insediato il governo hanno cominciato a parlare di scioperi e manifestazioni».
Però, anche voi siete stati accusati di collateralismo, anche se con il governo. Un po’ come era successo con il Patto per l’Italia...
«Ma via, non ci crede nessuno. Sono scuse; il sindacato non è collaterale se cerca di chiudere accordi. Solo in Italia mettere la firma su un’intesa diventa un problema. Io gli accordi li facevo anche con Prodi. E so bene che se uno inizia la trattativa dando pugni in faccia alla controparte, non vuole chiudere».
Non ha ragione Epifani a lamentarsi dell’incontro con il governo e senza la Cgil a Palazzo Grazioli?
«Pensa di essere il centro dell’universo. Deve essere chiaro che nessuno esclude nessuno. Se c’è qualcuno disposto al confronto figuriamoci se non trova chi lo ascolta».
Ma c’è stato l’incontro con il premier e i ministri economici?
«Non vedo dove sia il problema. Comunque se mi avessero invitato ci sarei andato. Non dobbiamo chiedere il permesso a nessuno. E poi, ricordiamolo, prima degli accordi ci sono sempre contatti. Anche con il governo Prodi, basta riprendere le agenzie di stampa dell’epoca».
Che rischio corre secondo lei la Cgil?
«Un sindacato deve pensare a cosa portare ai suoi iscritti, ai lavoratori dipendenti. A meno che non si pensi che la lotta dura e il braccio di ferro siano dei valori in sé. Raccomandazioni che valgono soprattutto adesso che stiamo attraversando questa fase difficile per l’economia. Noi sappiamo che dobbiamo essere cauti e che non bisogna lasciarsi andare a raffiche di richieste».
Però i sindacati devono farne di richieste, o no?
«Basta non limitarsi a fare elenchi delle cose che non vanno, come fa la Cgil. In quel modo sono capaci tutti. Bisognerebbe invece recuperare la capacità di trovare delle sintesi realistiche. È un problema serissimo, siamo lontani dall’obiettivo».
E con questo governo ne sono state trovate di sintesi, ad esempio sul pubblico impiego, visto che avete firmato il contratto dei ministeriali?
«Sono stati fatti passi in avanti. Non c’erano le risorse per il contratto, erano state sottratte quelle per la produttività. Il governo le ha rimesse sul tavolo».
La Cgil vuole di più e sostiene che 70 euro di aumento non bastano...
«Bisognerebbe chiedere al governo precedente che non aveva stanziato un euro per il 2008. Oggi vista la tempesta finanziaria potevamo anche non prendere niente».
E sull’università?
«Il ministro Gelmini ha detto che metterà a disposizione risorse per il contratto e che discuterà con noi della riforma. A questo punto non vedo che senso abbia protestare. Mi aspetto le stesse aperture anche sulla scuola. Sarebbe coerente da parte del ministro».
Che misure chiedete al governo per fronteggiare la crisi economica?
«Chiediamo investimenti in infrastrutture, energia pulita e rinnovabile, investimenti sull’istruzione e per la ricerca. Tutto dovrebbe essere coordinato in una cabina di regia. Se si vogliono fare politiche contro la crisi che siano keynesiane, anticicliche, non si potrà non intervenire sui salari e sulle pensioni».
E in che modo si possono realizzare concretamente delle misure per sostenere i redditi da pensioni e da lavoro?
«Noi chiediamo un taglio vigoroso del salario di produttività e misure per pensionati e non autosufficienti, oltre a risorse per la Cassa integrazione. La crisi finanziaria potrà avere contraccolpi duri sull’economia italiana e in particolare sull’industria manifatturiera. E non si possono non garantire i lavoratori e le famiglie che potrebbero trovarsi in difficoltà.
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