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Berlusconi vota per Monti Bossi: "Mezza cartuccia..."

L’ex premier difende Monti: "Difficile criticarlo". Il lumbard: "Hai solo paura". Poi però si salutano con amicizia. Retroscena: la tentazione di un Pdl del Nord

Berlusconi vota per Monti Bossi: "Mezza cartuccia..."

Roma - «Ciao Umberto, allora ci sentiamo». «Ciao Silvio, a presto». Lo scambio di battute con cui Berlusconi e Bossi si congedano dopo il voto di fiducia alla Camera è piuttosto eloquente. Con loro ci sono alcuni deputati di Pdl e Lega e nessuno si stupisce della cordialità che segue l’attacco nucleare scatenato dal Senatùr neanche un’ora prima. «Una mezza cartuccia che ha paura di mandare via Monti», l’aveva definito il leader del Carroccio. Mentre esattamente nello stesso momento, a pochi metri di distanza, il Cavaliere assicurava ai giornalisti di essere «sereno» perché «l’alleanza con la Lega tiene» e «al momento opportuno il centrodestra sarà compatto». Questione di punti di vista. O più probabilmente di tattica, almeno stando a sentire la maggior parte dei parlamentari di Pdl e Lega. «Finché Bossi si limita alla “mezza cartuccia” non c’è problema. Inizieremo a preoccuparci quando ricomincerà a dire che Berlusconi è un “mafioso”, “nazistoide”, “piduista”, un “Peron della mutua peggio di Pinochet”», sintetizza off the record un ex ministro del Pdl ripescando alcune perle tra i vecchi affondi che in passato il Senatùr riservò al Cavaliere.

Come a dire che «siamo davanti ad un film già visto». Sensazione che confermano molti leghisti, perché - confida un deputato di lungo corso - «se davvero fossimo alla rottura avremmo avuto indicazioni di alzare il tiro anche noi mentre allo stato è tutto tranquillo».

Nonostante la violenza dei toni usati da Bossi, dunque, al momento la situazione non cambia di molto. Certo, il leader del Carroccio vuole tenere l’ex premier sotto pressione e continuare a spingere affinché strappi con Monti per andare ad elezioni anticipate. Ma sa bene che di qui a marzo-aprile il Cavaliere non è nella condizione di farlo. Non solo perché sul suo capo pesa la sentenza Mills («un processo politico», per dirla con le parole di Berlusconi) o lo stand by del beauty contest deciso dal governo, quanto perché non avrebbe alcun senso staccare la spina adesso, a neanche due mesi dall’ingresso a Palazzo Chigi di Monti e con il provvedimento sulle liberalizzazioni in ballo. Tanto più che per tornare alle urne prima dell’estate c’è tempo fino ad aprile. Non è un caso che anche ieri mattina Berlusconi si sia presentato alla Camera per votare per la terza volta la fiducia al governo, un segnale anche politico vista l’insofferenza del Pdl verso l’esecutivo. Come le sue parole: «Il governo sta operando con grande prudenza ed è difficile avanzare critiche fondate». L’ipotesi di togliere il sostegno a Monti, invece, la tratta de relato ma comunque in modo piuttosto eloquente. «Senza essere stato sfiduciato - dice - mi sono fatto indietro con senso di responsabilità e, se permettete, anche con una certa eleganza. Le ragioni che mi hanno portato a quella decisione sussistono ancora». Per il momento, insomma, non ci sono novità che impongono cambi di marcia.

Bossi, però, mette le mani avanti. Tiene in caldo il suo elettorato e, di fatto, inizia la campagna elettorale con un certo anticipo sugli altri partiti. Perché - questo dicono i sondaggi - a far marciare in positivo il trend della Lega nelle ultime rilevazioni non è tanto l’opposizione a Monti quanto la presa di distanze dal Cavaliere. Sul fatto che poi si risolva davvero in una rottura è da vedersi anche perché chi ha più da perdere forse è proprio il Carroccio. Uno show down che metta in crisi due regioni chiave come Piemonte (guidata da Cota) e Veneto (da Zaia), infatti, non è propriamente lungimirante. Ecco perché nonostante le minacce e gli aut aut sul Pirellone («o cade Monti o cade la giunta della Lombardia», ripeteva ieri il Senatur) pare che Formigoni non sia preoccupato più di tanto.

Certo, pur comprendendone le ragioni, non è che Berlusconi sia propriamente entusiasta della nuova Lega «di lotta» e degli affondi di Bossi. Ma non è questo il momento per aprire un fronte con il Carroccio. Tanto che Alfano si limita al minimo sindacale quando replica al Senatùr che il Pdl «non accetta ultimatum né provocazioni». «Finché non sappiamo che strada prendere - chiosa il vicepresidente della Camera Lupi - c’è solo da avere pazienza...

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