Bertinotti al Professore: «Se vuoi salvarti devi abbandonare l’Ulivo»

Dario Squeri, inventore della Margherita: «Prodi vuole svendere il partito a Ds e a Rifondazione. Il futuro è dall’altra parte, con un progetto esaltante»

Roberto Scafuri

da Roma

Onorevole Fausto Bertinotti, il Re è nudo, orfano del suo Ulivo. Prodi reggerà?
«Qui si parrà sua nobilitate. Romano Prodi ha un grande chance, fare di necessità virtù e abbandonare la condizione duplice di leader dell’Ulivo e dell’Unione. Riconosca l’autonomia dei disegni strategici delle diverse forze, accetti e organizzi la competizione sulla collocazione di ciascuno. Ne guadagnerà l’autonomia della coalizione, che dall’articolazione delle forze in campo potrà porre al centro la costruzione del programma. Si misura così la capacità di leader dell’Unione».
Hic Rhodus hic salta, dicevano i latini. Ma se non lo fa?
«È a un bivio. Se subisce lo smacco, si indebolisce...».
L’indebolimento è palese, hanno attaccato le fondamenta del suo progetto.
«Si tratta di capovolgere la situazione in suo favore. Si logorerà se si lascia coinvolgere nel conflitto interno».
Lui ha parlato di «suicidio».
«Suicidio dell’Ulivo, non è detto che lo sia per l’Unione. Vivaddio, torna la politica. Quello che accade era previsto... “L’avevo detto” è una frase odiosa, non la pronuncerei mai. Però era obbligatorio che il collante non tenesse e che si giungesse a una dialettica. Bisogna ripartire da un punto ineliminabile: il confronto ideologico nella coalizione è una virtù, non un vizio...».
Così addio all’Unione...
«No, la coalizione è condannata a stare assieme. Ma deve imparare a convivere con le posizioni differenti. Finalmente la situazione si rimette in moto. Sa che significa?, uscire da quel pantano che è stata la seconda Repubblica».
Torniamo all’analisi, allora. Che cosa sta accadendo?
«Accade che dovremo abituarci a repentini mutamenti nei rapporti tra e dentro le forze politiche a est come a ovest».
Perché?
«Per due motivi di fondo. Il primo di politique politicienne, il terremoto che ha il suo epicentro nella fine dell’era berlusconiana. Ma come diavolo può reggere, un sistema che si è costruito e replicato in entrambi i poli sullo schema della presenza di Berlusconi in politica, quando crolla il pilastro, l’architrave? Vai e ci metti l’intonaco? Il dissolvimento aprirà nuovi e molti forni, avrebbe detto Andreotti. Parte dell’Unione pensa di intercettare le acque che scendono dallo scioglimento del ghiacciaio... Parecchi si candidano a raccoglierle, Margherita e Ds in primis, sia pure in modi diversi...».
E il secondo motivo?
«La fine dell’era berlusconiana è prodotta dal fallimento delle politiche neo-liberiste, che costringe tutti a interrogarsi sulla strategia. Nel campo riformista, finora, si è provato a rispondere secondo modalità organizzativistiche. Cioè l’identità è l’unità. La storia dell’Ulivo è il seguito della Cosa uno e della Cosa due. Invece di dire che tipo di riformisti siano, si definiscono riformisti e amen. Un’eclisse della politica basata sull’idea che la forza più grande di ogni polo, nel bipolarismo, è una calamita».
A parole Rutelli sogna il partito democratico, D’Alema quello riformista. Ma pare che tutto venga messo in subordine a logiche egemoniche...
«Jung dice che il sogno è l’anticipazione di una cosa che non sai bene definire, che non sai ancora bene che cos’è. Per forza entrambi sono imprecisi; Rutelli, D’Alema, Fassino fanno un’incursione e la lasciano cadere. La loro identità è più allusiva che detta, mentre sarebbe bene che venisse detta».
Ma secondo lei Rutelli ha in animo maggioranze diverse?
«Io credo che sbagli l’interpretazione della società italiana e quindi la risposta. Pensa che la soluzione stia in un’alternanza a contenuto centrista».
Quindi non si propone come il federatore del centro?
«Alla federazione centrista non ci credo, se non in termini di schieramento bipolare...».
La nuova situazione non crea nuovi rapporti di forza? E se i Ds passassero a una concorrenza tattica a largo raggio, dalla sinistra al centro?
«Magari ci facessero concorrenza a sinistra... È vita! Sarei felice. La loro condizione invece è di essere contesi tra la pressione di una base di sinistra e una richiesta di poteri costituiti, cui il gruppo dirigente guarda come necessità. Se con l’Ulivo l’opzione riformista poteva diventare impermeabile alle critiche, ora i Ds finalmente devono scegliere dove collocarsi».
Ma non teme Rutelli possa mirare alla sostituzione, dopo le Politiche 2006, di Rifondazione con l’Udc di Follini?
«Se avessero una maggioranza autosufficiente per un futuro governo io sarei libero... Però per i Ds sarebbe ben diverso stare in una coalizione riformista, sia pure moderata, o partecipare a un governo neocentrista».
Prc anti-tutti, come nel ’98.
«Ma è cambiato il mondo! C’è stato il movimento, la Fiom era contro di noi...

Credo che oggi ci sia invece un’area vasta che richiede un autonomo movimento politico, un soggetto visibile che stia al passo con la società e con i movimenti».
Cambia il mondo, e lei lavora per l’unità della sinistra.
«Certo, e i tempi sono maturi».

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