Bertinotti: a sinistra c’è ancora chi crede nell’uso della violenza

Il segretario di Rifondazione cerca di isolare l’ala estrema del partito: «Abbiamo aperto un fronte interno con chi non vuole avviare una nuova fase»

Gian Maria De Francesco

da Roma

«L’idea dell’uso della violenza per conquistare il potere alberga ancora a sinistra». La denuncia non viene dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che ne ha fatto spesso un leitmotiv, ma dal segretario di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti che ammette l’esistenza di derive staliniste all’interno della sinistra italiana.
La dichiarazione non rappresenta un autodafé, ma ha lo scopo di ricompattare tutta l’ala sinistra dell’Unione attorno alle posizioni pacifiste del Prc. «Noi abbiamo aperto una frontiera anche con quella parte della sinistra - ha spiegato Bertinotti a Radio popolare - che si condanna a non essere in grado di aprire una nuova fase vera di contestazione e trasformazione. Il pacifismo è il terreno concreto su cui oggi si combatte l’impero e si lotta per un diverso equilibrio del mondo». Insomma, Bertinotti ha intenzione di dialogare anche con i gruppi che nella manifestazione pro Palestina di sabato scorso a Roma hanno gridato: «Dieci, cento, mille Nassirya». Ma soprattutto con la frazione trotzkista del suo partito che come Marco Ferrando ritiene legittime le azioni di guerriglia contro l’azione americana in Irak.
L’utilizzo del termine «impero» come sinonimo di sovietica memoria per «capitalismo» è finalizzato a chiarificare la comune matrice marxiana, ma oggi, secondo Bertinotti, si può vincere solo adottando una strategia alla Gandhi pena la scomunica dei moderati. «L’idea che il nemico del mio nemico sia mio amico è totalmente catastrofica per la sinistra», ha aggiunto. Allo stesso modo è «disastrosa» l’idea di ritenere amica «una forza contraria all’occupazione americana qualunque forma di lotta adotti, compresa l’uccisione di donne e bambini». Anche la candidatura nelle liste di Rifondazione del leader no global Francesco Caruso rientra «in un discorso complessivo di democraticità» e non è motivo di «scandalo».
Non tutti all’interno di Rifondazione la pensano allo stesso modo. Claudio Grassi, leader della minoranza Ernesto (da Che Guevara), lo ha detto chiaramente. «Se si vuole parlare di uso della violenza al di fuori del contesto politico è un conto, ma se poi si guardano le realtà storiche, non sempre le modalità pacifiche pagano. L’uso della forza è spesso la risposta di chi con la guerra impone la violenza e il proprio dominio», ha argomentato Grassi.
Ma Bertinotti ha indicato la via da seguire a un convegno del suo partito a Napoli. «Tutti sono al nostro fianco nelle battaglie, eppure quello che lotta con te poi vota Ds perché pensa che non ce la facciamo», ha affermato. Come si supera l’impasse? «Essendo protagonisti dell’Unione» e approfondendo il dialogo con i movimenti che «non devono avere uno sbocco politico, ma unirsi in un progetto leggibile unitariamente». Solo in questo modo, ha precisato Bertinotti, si evita il rischio grosse Koalition, la balena neocentrista sostenuta anche dalle «forze moderate che si sentono a disagio nell’Unione».
Il «no» bertinottiano alla violenza, però, non è univoco. Le manifestazioni di protesta contro la pubblicazione delle vignette su Maometto, che in alcuni Paesi islamici sono degenerate, non sono una causa, ma piuttosto un effetto della politica occidentale. «Tutto ciò - ha specificato - fa pensare alla pagliuzza e alla trave: se non si rimuove la guerra, se non si rimuove la politica di occupazione dell’Occidente, si diventa corresponsabili dei fondamentalismi e dei conflitti che si producono». Anche le ragioni di Hamas vanno comprese. «Se non si contribuisce a risolvere il problema palestinese dando due Stati a due popoli, si lascia germinare un odio che può diventare deflagrante. Invece di preoccuparsi dei governi arabi, bisognerebbe preoccuparsi dei governi nostri». Il caso Calderoli? «Le culture a cui l’ex ministro fa riferimento e a cui ha dato voce inducono a pensare a conflitti di civiltà».
E di un possibile governo dell’Unione Bertinotti, pur essendosene già chiamato fuori, si preoccupa vivamente. «Rifondazione comunista, diversamente dagli anni ’90, ha costruito un programma comune e quindi deve far parte del governo.

E non ci deve essere inibito alcun incarico ministeriale», ha detto. Un Bertinotti rassicurante, ma pronto a far pesare al tavolo dell’Unione quell’assenso al programma strappato alla direzione nazionale del Prc con una risicata maggioranza di 9 voti a favore e 8 contrari.

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