Ingid Betancourt
«Questo è un momento molto duro per me. Ogni cosa è una prova indiscutibile di sopravvivenza e sono qui a scriverti questa lettera con una stretta nell’anima. Sto male fisicamente. Non riesco a mangiare, l’appetito mi si è bloccato e ogni giorno perdo molti capelli.
Non ho voglia di fare niente. E credo che questo sia l’unica cosa buona: non ho voglia di fare nulla perché qui in questa foresta l’unica risposta a tutto è “no”. Allora, meglio non volere niente, almeno posso sentirmi libera dai desideri. Sono tre anni che chiedo un dizionario enciclopedico per leggere qualcosa, per imparare qualcosa e mantenere viva la mia curiosità intellettuale. Continuo ad aspettare che prima o poi, per pietà, me ne procurino uno. Anche se la cosa migliore è non pensarci proprio.
Mi è sembrato un miracolo poterti ascoltare qualche mattina alla radio con questo apparecchio che ho, vecchio e danneggiato.
Voglio chiederti, mia dolce madre, che tu dica ai bambini che voglio che mi mandino tre messaggi la settimana via radio (...) Niente di particolare, che mi dicano qualsiasi cosa, e se possono che mi scrivano pure (...) Non ho bisogno di niente più, se non di rimanere in contatto con loro. Per me è l’unica informazione vitale e imprescindibile, del resto non m’importa (...).
Come ti dicevo, la vita qui non è vita, è solo una terribile perdita di tempo. Vivo o sopravvivo su un’amaca legata tra due pali, coperta da una zanzariera e con sopra una tenda che mi fa da tetto e che mi fa illudere di vivere in una casa.
Ho una mensola dove metto le mie cose, cioè una sacca con i vestiti e una Bibbia, che è il mio unico lusso. Tutto pronto per la fuga. Qui non c’è assolutamente nulla di più duro che vivere con questa costante incertezza e precarietà. In ogni momento danno l’ordine di smantellare tutto e di muoversi, dormiamo come animali in qualsiasi buco capiti di fermarsi, in qualsiasi luogo (...) Mi sudano le mani e mi si annebbia la mente, e impiego sempre il doppio del necessario a fare le cose. Le marce nella foresta sono un vero calvario perché il mio zaino è molto pesante e non ce la faccio (...) Tutto è snervante, le mie cose o si perdono o me le tolgono, come i jeans che Mela (Mélani) mi ha regalato per Natale, sono i jeans che indossavo quando mi catturarono. L’unica cosa che sono riuscita a salvare è una giacchina, ed è stata una benedizione perché qui le notti sono gelate e non ho nulla con cui ripararmi dal freddo.
Prima approfittavo del fiume per lavarmi. Ma ora che sono l’unica donna del gruppo mi tocca lavarmi praticamente vestita: pantaloncini, camicia e stivali. Prima amavo anche nuotare nel fiume, ora non ho più nemmeno la forza di farlo. Mi sento debole, ho i brividi, sembro un gatto che si avvicina all’acqua. Io che adoravo tantissimo l’acqua, non mi riconosco più. (...) Da quando le squadre si sono fermate non ho più alcun interesse né l’energia per fare qualsiasi cosa. Faccio solo un po’ di stiramenti al collo, perché lo stress me lo blocca e spesso mi fa molto male.
Con gli esercizi al collo riesco a diminuire un po’ la tensione sul collo (...) Cerco sempre di rimanere in silenzio, parlo il meno possibile per evitare problemi. È pericoloso per una donna stare in mezzo a tanti uomini, che sono prigionieri da otto e da dieci anni. (...) Mi hanno portato via una tua lettera che mi era arrivata dopo l’ultima prova di sopravvivenza nel 2003. C’erano i disegni di Natasha e Stanis, le foto di Mela e Loli, un’immagine della Madonna che mi aveva dato papà, un programma del governo, mi hanno preso tutto. Ogni giorno mi rimane sempre meno delle mie cose. Tutto è difficile.
È importante che scriva queste parole per le persone che sono il mio ossigeno, la mia vita. Per i miei cari che mi tengono la testa fuori dall’acqua e non mi lasciano affogare nella disperazione. Queste persone sono i miei figli, tu, Astrica e i piccoli Fab, zia Nancy e Juangui.
Tutti i giorni parlo con Dio, con Gesù e con la Madonna.
(...) Qui ogni cosa ha due facce: l’allegria lascia sempre il posto al dolore. La felicità assomiglia alla tristezza. L’amore mi dà sollievo ma apre anche nuove ferite... mi sembra di morire, poi di tornare a vivere e di morire di nuovo. Per lungo tempo in questi anni non sono riuscita a pensare ai bambini e al dolore per la morte di mio padre, perché questi pensieri mi toglievano la forza di resistere e sopportare. Ho versato milioni di lacrime per loro, fino a sentirmi soffocare, fino a farmi mancare il respiro. Mi dicevo: “Fab è lì, pensa a tutto lui, non devi preoccuparti”. Stavo per impazzire quando ho saputo della morte di mio padre. E non ho mai saputo come sia successo, chi gli era vicino, se ha lasciato un messaggio per me, un’ultima benedizione. Ma quello che ha alleviato il mio dolore è stato il pensiero che il papà ora è nelle mani di Dio, e che lì un giorno tornerò ad abbracciarlo. Di questo sono sicura. E anche ascoltare che stai bene e che sei forte mi ha dato coraggio e forza. Non ho ricevuto nessun messaggio da te fino al 23 agosto del 2003, quando mi hanno messo assieme a Lucho, Luis Eladio Pérez. Siamo stati amici inseparabili, fino a quando ci hanno separati lo scorso agosto. Ma durante tutto questo tempo è stato lui il mio bastone per continuare, è stato lui che mi ha protetto come se fosse un fratello per me (...).
Ho in mente tutte le date di nascita (dei miei figli, ndr). E a ogni compleanno canto, da sola, “Happy Birthday” e chiedo che mi lascino fare una torta. Ma da tre anni la risposta a questa mia richiesta è sempre “no”. Qui ci sono sempre le solite cose da mangiare: qualche biscotto, una zuppa con un po’ di riso e di fagioli. E con questi ingredienti preparo una piccola torta per celebrare i loro compleanni nel mio cuore. (...)
Cara mamma, oggi mi hanno dato carta e penna per scrivere questa lettera. Non so se mi basterà per scrivere tutto quello che sento. Scrivo a Chávez, con tutto il mio affetto e la mia ammirazione, perché le nostre vite sono nei loro cuori, grandi e valorosi. (Dedica un paragrafo intero di ringraziamenti a Chávez, a Álvaro Leyva, a Lucho Garzón e a Gustavo Petro, e poi ricorda i giornalisti.)
(...) So che quello che stiamo vivendo sono anni di buio e di incognite, ma la storia ha i suoi tempi di maturazione e il presidente Sarkozy è sul meridiano della storia. Assieme al presidente Chávez e al presidente Bush e alla solidarietà di tutti potremo assistere a un miracolo.
Per molti anni ho pensato che mentre ero viva, mentre continuavo a respirare, dentro di me era viva anche la speranza. Ma ora non ho più la stessa forza, mi costa troppo continuare a credere di poter ancora sperare, ma voglio che chi ha fatto qualcosa per noi sappia che ha fatto già molto. Ci siamo sentiti finalmente esseri umani. (...
Ingrid Betancourt
(traduzione di R. Pellegrino)
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