«Il bimbo non studia? Non si caccia»

«Un episodio del genere non ha nulla di educativo, proprio nulla». Andrea Calò, psicologo dell’adolescenza, è abituato alle madri iperprotettive che giustificano i figli in tutto e per tutto e che, semmai, se la prendono con le insegnanti. Sentire invece di una madre che caccia di casa il bambino per punirlo, lo lascia esterrefatto. «Una reazione del genere - spiega - è stata lo sfogo di una frustrazione accumulata nel tempo. Ma non ha insegnato nulla al ragazzo. Anzi, lo ha privato di un diritto, cioè quello di vivere in casa». Di solito invece la punizione classica è quella di privare di un piacere (la tv, l’uscita con gli amici). In teoria, per rendere la punizione costruttiva, bisognerebbe sempre lasciare al ragazzo la possibilità di un riscatto. «Ogni azione - spiega Calò - va fatta per spronare a un miglioramento, altrimenti è inutile. Invece è educativo se si dà una punizione ma si promette di revocarla a fronte di un bel voto».
Esattamente il contrario di ciò che è accaduto nella famiglia peruviana di Quarto Oggiaro dove un bimbo di 10 anni, quinta elementare, prende un brutto voto di troppo, la madre si infuria e non lo fa più entrare in casa. Lo lascia lì, sotto la pioggia, in pigiama. Lui, inconsolabile, che fa? Si rifugia sotto l’androne di un palazzo in via Amoretti, a pochi metri dalla casa della sua maestra. A trovarlo, solo, spaventato e infreddolito, è un’insegnate della sua stessa scuola.
«L’ho buttato io fuori di casa perché va male a scuola» si giustifica la madre, una peruviana di 35 anni, denunciata per abbandono di minori. É quasi scocciata per l’intervento della polizia e usa toni che gli agenti definiscono «spocchiosi». Lo psicologo tuttavia anticipa che questa storia non finirà qui. Se c’è una denuncia per abbandono infatti, con tutta probabilità interverranno i servizi sociali e si metterà in moto un meccanismo di controlli. «Solitamente episodi del genere - spiega - non arrivano mai da soli. E sono il campanello d’allarme per scavare nelle situazioni familiari». Dietro una singola sfuriata quindi si potrebbe anche nascondere un modello di educazione non propriamente esemplare.
«Così impari a crescere» avrebbe detto la madre al ragazzino prima di gettarlo fuori di casa. Roba da far accapponare la pelle a qualsiasi psicologo dell’infanzia. Ma come dovranno comportarsi i genitori in caso di brutti voti? Meglio il castigo o l’«assoluzione»? A un mese e mezzo dalla fine dell’anno scolastico, la punizione severa non ha più senso. «Invece - spiega Calò - i ragazzini che hanno debiti scolastici da recuperare a settembre, vanno aiutati ad organizzare il tempo. L’ideale è stabilire due ore al giorno di studio, non di più. E quelle devono essere. Se il ragazzo studia, bene, allora può uscire con gli amici o essere ricompensato. Se quel giorno su studia, allora niente premio. Però ogni giorno il ragazzo ha la possibilità di riscattarsi rispetto alla mancanza del giorno prima e recuperare».
La linea che spesso gli psicologi appoggiano è quella della punizione a breve termine, sia per i bambini sia per gli adolescenti.

E in ogni caso il consiglio che vale per tutti i genitori è quello di affrontare i problemi quando c’è ancora spazio per risolverli, quando i brutti voti si possono ancora recuperare. Non certo con sceneggiate inutili e violente.

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