La Bindi bruciata dagli alleati: «È lei il leader dell’ammucchiata»

RomaLa grande coalizione «patchwork», quella sorta di Resto del Mondo contro Silvio Berlusconi che vorrebbe mettere insieme tutti i volti dell’opposizione, da Vendola a Fini fino a Di Pietro e Bersani, dimora da tempo nella mente di Massimo D’Alema, evidentemente nostalgico dei «fasti» dell’Unione di Romano Prodi. Un sogno o un’aspirazione che continua a prendere forma nella mente del líder máximo. Tanto che il presidente del Copasir - che si confessa al settimanale Oggi in una lunga intervista rilasciata a Dakar, in Senegal - immagina già un candidato premier per questo improbabile squadrone antiberlusconiano.
Chi? Inutile insistere. Sull’identità del futuro leader, D’Alema ostenta il massimo riserbo. Questa grosse koalition «nascerebbe con due collanti fondamentali: chiudere la pagina del berlusconismo, aprire una fase nuova. Siamo in una situazione simile a quella del dopoguerra, quando l’Italia scelse tra monarchia e repubblica» azzarda D’Alema. E sulla guida dice: «Io propongo un patto costituente e il leader sarà deciso da tutti quelli che vorranno farne parte. Non lo posso, ovviamente, indicare io». All’intervistatore che gli chiede se possa essere il governatore di Bankitalia, Mario Draghi, il candidato giusto risponde: «Draghi è candidato a presiedere la Banca centrale europea, e sarebbe una gran cosa per l’Italia. È un uomo straordinario, capacissimo. Il suo profilo è quello giusto: non viene dalla politica, sarebbe il punto di sintesi di uno schieramento ampio. Ma non è il mio candidato. Il nome ce l’ho, ma non lo faccio, altrimenti lo brucio».
Il pensiero di tutti corre verso Rosy Bindi. Ma D’Alema è irremovibile e non si spinge oltre. Così a evocare il suo nome - e secondo la logica dalemiana a bruciarla - ci pensa Nichi Vendola che a Repubblica, dice sì alla «coalizione democratica» da Sel a Futuro e libertà. «Per ridare all’Italia l’ossigeno che il berlusconismo le ha tolto urge rimuovere le macerie della Seconda repubblica - dice il governatore pugliese -. Facciamo allora una coalizione di emergenza democratica, reclutiamo le migliori competenze giuridiche e occupiamoci delle cose fondamentali: legge elettorale, una buona norma sul conflitto d’interessi e sul sistema informativo. Poi, ognuno per la sua strada». Per guidare la coalizione, Vendola fa appunto il nome di «Rosy Bindi. Una donna che rappresenta la reazione a uno dei punti più dolenti del regresso culturale, ricopre un ruolo istituzionale-chiave come quello di vicepresidente della Camera, ha il profilo giusto per guidare una rapida transizione verso la normalità».
In serata D’Alema controreplica alla sortita vendoliana. E invita tutti alla prudenza. «Voglio ringraziare Vendola per aver indicato una persona di grande valore come Rosy Bindi. Naturalmente visto che si parla di una grande coalizione il candidato deve essere concordato e non imposto da nessuna parte». Anche l’Italia dei Valori concede un avallo di massima, pur invitando a un incontro di tutte le opposizioni per discuterne. In controtendenza sul toto-Bindi è, invece, Giovanna Melandri, deputata Pd che al programma Un Giorno da Pecora esprime il suo giudizio sul possibile leader della «Santa Alleanza». «Quale sarebbe il suo candidato ideale per guidare la coalizione allargata in grado di battere Berlusconi?» le viene chiesto. «Mario Monti. Potrebbe essere una candidatura forte e autorevole, che darebbe un profilo ad una coalizione ampia». «Vendola ha indicato la Bindi come possibile leader. Lei cosa ne pensa?».

«La stimo molto ma può essere la donna che fodera un’alleanza da Vendola al Terzo Polo? Non credo». Come dire che nella tela intessuta da D’Alema ci sono ancora nodi (probabilmente marinari) piuttosto complicati da sciogliere.

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