Bluff azzurro Dalla staffetta ai tecnici

Antonietta Di Martino e poi? Quell’Italia che è tutta un bluff. È andata perfin peggio di quanto si poteva immaginare. Se l’Antonietta dei (suoi) miracoli ha dimostrato che campioni si diventa (e si rimane) non si nasce, gli altri hanno devastato l’amor e l’onor patrio. Questa Italia è una camera a gas, ti strozza sempre il grido in gola: per un nulla sbatte contro tutte le porte, contro le asticelle, non arriva al salto da finale, al piazzamento da sorriso. La sintesi dice: un bronzo per la Di Martino, un 4° dalla Rigaudo (marcia) un 5° dalla staffetta 4x100 (medaglia buttata), un 8° da Vizzoni (martello) e Pertile (indomito nello sprint finale della maratona). Aggiungete la Milani, semifinalista nei 400 metri, e le due finali di Meucci passato dalla crisi di rigetto di un anno fa (voleva smettere) a queste tre gare e due finali mondiali. Con tanto di sorpresa per ammissione sua: è andato meglio nei 5000 rispetto ai 10mila dove si credeva più bravo.
A questo punto, bisognerebbe capire a cosa servono i tecnici. Domanda che va posta, per esempio, al gruppo dei triplisti, definitivamente affondati dal buco nella sabbia di Donato, non entrato nella finale fra i primi otto. Ma andrebbe studiato anche il sistema d’allenamento degli staffettisti che, dopo aver lavorato sui cambi provandone ben 71, ne hanno sbagliati due. Osservazione pertinente di Stefano Tilli, uno che in tal senso se ne intende, e presa male dai diretti interessati. Peccato, perché la staffetta aveva illuso con una bella semifinale (terza dietro a Gran Bretagna e Polonia) e con il terzo tempo di sempre della 4x100 (38”41). Bastava poco per arrivare al record italiano, l’andatura record della Giamaica poteva dare una mano. Ed, invece, Tumi, Collio, Di Gregorio e Cerutti sono andati più piano (38“96) e addio occhiolino della buona sorte. Quando cadono Usa, Gran Bretagna e Trinidad perde colpi.....
L’Italia non lascia molto altro nei ricordi: la felicità di Schwazer per un 9° posto (mah!), i musi lunghi di tanti e l’insana soddisfazione della La Mantia (fuori dal triplo e felice). Stridono un po’ le chiacchiere del ct, Francesco Uguagliati, che parla della sfortuna e dell’imponderabilità degli infortuni, come se agli altri non capitassero. Piuttosto domandiamoci: perché gli altri arrivano quasi perfetti alle gare che contano? Perché gli altri non sbagliano gara e gli azzurri quasi sempre? Perché gli altri tirano fuori qualcosa anche dal nulla? Guardate quanti nuovi paesi a medaglia, quante nazioni impensabili. E noi facciamo ammuffire sempre più le nostre speranze?
Franco Arese, ovvero il presidente federale, ha già dato una risposta: «Indossiamo il saio e andiamo in giro per il mondo ad imparare». Un po’ tardi per pensarci. Bastasse indossare il saio... L’Italia è piena di frati e parroci. Ma non risulta siano specialisti in miracoli. Arese parla pensando ai tempi suoi, quando c’era più materia prima. Ed ora cerca una ricetta. Dice: «È stato un mondiale onesto. Abbiamo vinto l’unica medaglia che potevamo.

Dobbiamo impegnarci a curare quelli che possono far bene: Howe è un’incognita, Schwazer sulla buona strada. Dobbiamo far crescere qualitativamente i nostri, farli gareggiare di più all’estero. Concentrarci su atleti e specialità vincenti. Investire dove possiamo». Già detto e già sentito. Risultati? Vedi medagliere.

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