Roma - «Ho avuto delle esperienze micidiali, io, con Ilda Boccassini...». Si parlava del tricolore, del Benigni patriottico («un saltimbanco, ha fatto un sacco di errori storici...»), dei discendenti di Giuseppe Garibaldi tutti all’estero, in Francia, Canada e Inghilterra («dove c’è un vero stato di diritto»), e poi il viso di Anita Garibaldi, pronipote del generale dei Mille, si fa scuro mentre affiora un ricordo drammatico. «Una sera, molti anni fa, vengono a casa mia degli uomini della Digos e mi dicono: “Lei ci deve seguire, è implicata in un traffico d’armi”. Subito dopo mi portano qui dietro, in una caserma, dove trovo lei».
La Boccassini.
«Con Gherardo Colombo. Sono stata sotto torchio fino alle 5 del mattino, con la Boccassini che ripeteva: “Lei mi deve confermare che Pillitteri (allora sindaco socialista di Milano, ndr) ha preso tangenti”».
Parliamo della «Duomo connection», albori di Mani pulite.
«Era l’inizio della guerra a Craxi, e io, che stavo nella direzione nazionale Psi, fui scaraventata dentro, in modo violento. Si immagini se Pillitteri veniva da Milano per dirmi che aveva preso tangenti!».
Mafia, droga, politici corrotti. E anche una nipote dell’Eroe dei due mondi.
«La mattina successiva a quella notte, quindi qualche ora dopo l’inizio dell’interrogatorio, sulla prima pagina di Repubblica c’era già il mio nome. Con l’immagine di un triangolo: mafia, massoneria, partito socialista».
Perché fu tirata in mezzo lei?
«Non lo so, nel Psi ero conosciuta perché se qualcuno mi mandava una scatola di cioccolatini gliela rimandavo indietro. Col cognome che porto non volevo avere nulla di nulla sul mio conto. Forse però dava risalto mediatico all’inchiesta. Ogni mattina venivano fuori le veline su Repubblica».
Dopo quell’interrogatorio cosa successe?
«Mi chiamò a Milano, in tribunale. Cinque ore in aula, continuava a dirmi: “Io la denuncio! La denuncio per reticenza! Non è vero! Lei lo sapeva!”. Con violenza. Alla fine, senza più forza, mi sono alzata e ho detto al presidente: “Dica alla signora Boccassini che se vuole denunciarmi mi denunci, però io non rispondo più”. E mi sono seduta. Ho sentito tanti applausi nell’aula...».
Finì così?
«Macché. Sono tornati ancora una volta a casa mia, hanno messo a soqquadro tutto, si sono presi anche un medaglione di mio nonno, un reperto storico. Scrissi al capo della Polizia Vincenzo Parisi che mi rispose con una lettera, disse che era una cosa indegna. Poi la Boccassini scoprì che avevo un figlio...».
Anche lui interrogato?
«Era da poco tornato dall’Inghilterra per stare qui. Due poliziotti si presentarono dal capo del personale della sua azienda dicendo che mio figlio era coinvolto in affari malavitosi. Lo portarono in tribunale. Mio figlio, abituato all’Inghilterra, rimase sconvolto. L’azienda gli fece capire che non era più gradito, lui si licenziò. Cadde in una depressione fortissima. Alla fine siamo riusciti a riportarlo in Inghilterra, l’abbiamo fatto curare, ma è stato segnato, come me».
Poi le accuse che fine hanno fatto?
«Finito tutto in nulla, archiviato, perché non c’era niente. Io persi le consulenze che facevo, l’Avanti non volle più firmare i miei pezzi, il Psi mi chiamò dai probiviri».
E Craxi?
«Eravamo amici, avevamo trascorso ore insieme nella casa di Milano a passare in rassegna i suoi cimeli garibaldini. Lui amava Garibaldi. Quei cimeli poi li ha lasciati ai figli, so che Bobo li ha venduti, anche malamente credo».
Ha visto Benigni?
«Uno sproloquio... Quante castronerie. Ha detto che il tricolore deriva dalla Beatrice del Purgatorio, ma invece l’origine è la bandiera cispadana. Poi che Garibaldi prese in Argentina le stoffe rosse per le divise. Ma Garibaldi combatteva contro gli argentini, se fosse andato a Buenos Aires lo avrebbero fatto a pezzi! Quella stoffa era a Montevideo, che lui difendeva».
In
Rai c’è una minifiction su Anita Garibaldi.«Sì, fatta dalla moglie di Italo Bocchino. Da quel che so mi pare abbiano saccheggiato il mio libro».
L’hanno chiamata?
«Ma neanche per sogno».
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