Bonazzi, il tessitore che conquista il mondo

Da poche settimane è stato inaugurato un centro produttivo in Thailandia

Tutto comincia nel 1956 con cinque operaie che in un garage di Verona tagliano e cuciono tessuti per fare impermeabili in nylon. Poi un giorno marito e moglie si guardano negli occhi e uno dice all’altro: «Perché non li facciamo direttamente noi questi impermeabili?» E così avviene. Passa altro tempo e poi uno dice: «Ma perché non ci facciamo anche i tessuti?» E poi: «Perché non ci facciamo anche il filo?» Via via di questo passo, l’iniziale laboratorio artigianale si è trasformato in una multinazionale che da tempo non si occupa più di impermeabili ma ha sviluppato nuovi business diventando con la Aquafil la numero uno in Europa e la numero due al mondo nel filato per moquette. Con diciotto stabilimenti sparsi un po’ dovunque, dall’Italia alla Slovenia, dalla Croazia agli Stati Uniti e con un ufficio ricerche a Berlino. L’ultimo degli stabilimenti si trova in Thailandia. Ed è cosa, sottolinea Giulio Bonazzi, «proprio di queste settimane».
La storia. Veronese, classe 1963, Giulio Bonazzi è il figlio dei fondatori del gruppo, Carlo Bonazzi e Silvana Radici. Dove lui, Carlo, ormai vicino all’ottantina, ha alle spalle una famiglia che possedeva a Verona una merceria con capi di abbigliamento e lei, Silvana, scomparsa nel 1980, apparteneva ad una famiglia bergamasca molto nota nel tessile, quella dei Radici: Gianni e Miro erano suoi fratelli. Occhi verdi, capelli ridotti al lumicino al punto che è difficile capire se ci sono o non ci sono, Giulio Bonazzi è il più giovane dei quattro figli di Carlo e Silvana. Il primo è Fabio, 1956, il quale segue la tintoria e il finissaggio del settore tessile; la seconda è Maria Teresa che si occupa di una catena di negozi di abbigliamento; il terzo è Antonio, 1961, responsabile del settore tessile e il quarto è Giulio, amministratore delegato del settore chimico che produce tecnopolimeri e fibre artificiali. Tessile? Chimico? Già, perché il Gruppo Bonazzi, che è la holding di famiglia con sede alla periferia di Verona, San Martino Buon Albergo, si struttura in due società capofila: la Aquafil di Arco di Trento specializzata nella fibre sintetiche e nei polimeri e la Aquafabric di Montecchia di Corsara, zona di Verona, che produce invece tessuti per i blue-jeans. Il giro d’affari consolidato è di 435 milioni di euro di cui il 65% grazie all’export mentre i dipendenti sono 2.800 di cui la metà all’estero. La Aquafil (senza la c, un’idea di papà Carlo legata ai suoi studi classici), è diretta da Giulio e rappresenta l’80% del giro d’affari del gruppo: è in gran parte dovuto al filato per moquette (moquette per le case, le scuole, gli alberghi, le auto) ma anche al filo venduto ai calzifici, ai produttori di maglie e di abbigliamento intimo e ai tecnopolimeri destinati a chi fa stampi in plastica, dagli accessori per l’automotive alla componentistica elettrica. La Aquafabric, quindi il tessuto per i blue-jeans, è sotto la guida di Antonio e rappresenta l’altro 20% del business. Con clienti come Diesel, Replay, Armani.
Gli esordi. Essendo il più giovane dei fratelli, Giulio Bonazzi è anche l’ultimo ad entrare in azienda. Può così avere il tempo per andare all’università e laurearsi in economia e commercio a Venezia. Ma questo non significa che se la sia presa comoda: si laurea infatti a 23 anni, risulta anzi il quinto in un corso di cinquecento studenti. Poi va all’estero due anni e mezzo, a Bruxelles e nei dintorni di Atlanta, negli Stati Uniti, facendo esperienza in due tappetifici che vendono moquette e sono clienti del gruppo Bonazzi. Rientra così a Verona nel 1989 e va a lavorare all’Aquafil, quando l’azienda è riuscita a superare già da qualche anno una pesante crisi che, dice Giulio, «l’ha di fatto asciugata». Era successo questo: nel 1980 muore in pochi mesi mamma Silvana. Papà Carlo si ritrova da solo alla guida di un gruppo che ha già duemila dipendenti e per di più in un momento molto difficile del mercato. Così Antonio e Fabio, entrambi giovanissimi e con un fisico da giocatori di rugby, si ritrovano catapultati in azienda. Che da lì a non molto abbandona l’attività di confezione, all’epoca la più importante del gruppo, per concentrarsi sui due settori che in seguito diventeranno strategici: la produzione di tessuti naturali e di filati per la moquette. Ed entra nel mondo dei filati per moquette grazie anche alle insistenze di Bruno Torresani, un ragioniere che approda nel gruppo Bonazzi dopo esperienze in Germania e alla Snia Viscosa. «Copiateli», ripete. Un suggerimento seguito alla lettera. Dirà Giulio: «Ci siamo comportati da cinesi».
La strategia. Alla fine degli anni Ottanta l’Aquafil non è comunque ancora esplosa. Ha un piccolo stabilimento ad Arco di Trento ed altri due nel Trentino, fattura cento miliardi delle vecchie lire e quindi meno della metà di quel che all’epoca fattura l’intero gruppo e soffre per gli alti costi di produzione. Così i Bonazzi cercano di delocalizzare. Anche pagando di persona, come quando varano una joint venture in Slovacchia che poi non va bene. Trovano invece la soluzione valida in Slovenia, acquisendo già una società che fa filo per moquette e filo per applicazioni tecniche con più di 400 dipendenti. E nel 1995 Giulio si trasferisce a Lubiana, evitando di commettere gli errori che di solito fanno gli industriali quando sbarcano all’estero. Bussa così alle porte della facoltà di ingegneria chimica e tessile di Lubiana, sostituisce il macchinario con impianti moderni, trasferisce dall’Italia i suoi uomini migliori, cura sin dall’inizio la formazione del personale. Ed è una tattica che poi adotterà anche in altre operazioni più o meno analoghe, come l’apertura dello stabilimento nel 2006 nelle vicinanze di Atlanta, a Dalton, il principale centro industriale della moquette negli Stati Uniti: investimento di 120 milioni di dollari, 13mila metri quadri occupati, 130 dipendenti, dieci milioni di chili di filati all'anno. L’aspetto importante è che gli Stati Uniti, afferma Giulio, «consumano il filo per moquette quattro volte di più rispetto all’Europa». Ed ora lo stabilimento in Thailandia invece che in Cina in quanto, dice, «il mercato cinese non è ancora maturo per i nostri prodotti».
Il boom di vendite. In particolare i Bonazzi danno fiato all’innovazione, al punto da quintuplicare nell’arco di sedici anni le vendite dell’Aquafil: dai cento miliardi di lire di fine 1989 ai 350 milioni di euro di fine 2006. Realizzano all’anno settemila articoli di media e alta gamma, quindi fanno un prodotto, spiega Giulio, «per ogni cliente». E poi ogni anno riescono a portare sul mercato, grazie all’ufficio ricerche di Berlino che assorbe l’1,5% del fatturato ma grazie anche alla ricerca che viene fatta in ogni stabilimento in quanto ogni stabilimento ha una sua specializzazione, poco più di duemila prodotti nuovi». La concorrenza, chiarisce Giulio, «non fa invece nemmeno la metà di quel che facciamo noi». Ed è, aggiunge, «un’innovazione continua con un rapporto da uno a dieci nelle campionature. Ventimila campioni ogni anno. Siamo dei matti...». Prodotti spesso brevettati. Ecco nel filo tessile la microfibra di polipropilene col marchio Dryarn utilizzata nell’abbigliamento sportivo e intimo in quanto ha la minore capacità di assorbimento dell’acqua e quindi del sudore; aggiungendo poi alla stessa microfibra ioni di argento, si ottengono migliori proprietà batteriostatiche; e dal momento che il potere coibente del Dryarn è superiore alla lana ed è più leggera, produce un comfort tale per cui si possono realizzare calze utilizzabili tutto l’anno. Ed ancora: la Mtx, una lega tra diversi polimeri in grado di evitare che le moquette si sporchino. Ma anche polimeri antifiamma, concentrati che servono per colorare o dare performance, granuli di plastica ecologici tratti dai ricicli e dagli scarti.
La nuova generazione. Nel Gruppo Bonazzi il passaggio generazionale è già avvenuto a metà degli anni Novanta. Ma ora c’è da pensare anche alla terza generazione in quanto i figli dei quattro fratelli sono già dieci. Nessuno per ora in azienda.

Giulio, sposato con Roberta Previdi, un architetto che si occupa di olio extravergine dal momento che vive in una villa con duemila olivi, ne ha due. Fabio altri due, Antonio quattro, Maria Teresa due. Ebbene, è stato stipulato un patto con varie clausole tra cui quella in cui si dice che se non c’è proprio bisogno, i figli restano fuori.
(123. Continua)

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