«Dove passerai il Capodanno?» chiede Vittorio de Sica, il conte Max del film omonimo, ad Alberto, il giornalaio romano che pende dalle sue labbra e che sullo schermo è Alberto Sordi. «A Capracotta». «A Capracotta? Mai sentito nominare». «È il paese de nonno
lo chiamano la piccola Cortina degli Abruzzi
le assicuro signor conte che è una vera Cortina». «Tu hai mai visto Cortina?». «No». «E allora, perché dai dei giudizi? Prima vedi, poi dai dei giudizi». Grazie a un corso accelerato di buone maniere impartitogli dal suo mentore, a Cortina Alberto verrà persino scambiato per un aristocratico, un po come DAlema scambiato a St Moritz per uno statista capitalista. Alla fine, il giornalaio capirà però che è Capracotta il suo luogo dellanima; sul politico Max, si accettano scommesse.
Set in Cortina, di Ludovica Damiani (Electa, 187 pagine, 60 euro), ha per sottotitolo Il cinema e le Dolomiti ed è una carrellata che da von Stroheim a Ermanno Olmi, passando per Luis Trenker e i Vanzina, Blake Edwards e Sergio Corbucci, Michelangelo Antonioni e Charles Vidor ripercorre questo binomio alternando nelle sue pagine scatti, protagonisti, racconti. Come tale, è una miniera di curiosità: le Montagne rocciose di Cliffhanger dove si arrampica Sylvester Stallone sono in realtà i pendii del Lagazuoi, con sotto il Sass de Stria; i colori in cui è immerso il romantico e disperato Ladyhawke, con Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer, sono larancio, il giallo e il rosso dei larici autunnali fra il lago di Misurina e il Passo Giuan; la Liz Taylor di Mercoledì delle ceneri fece a pezzi, nellascensore dellhotel Miramonti, un abito di scena che non le piaceva; nel Segreto del bosco vecchio i cani di Paolo Villaggio caddero narcotizzati per lodore troppo intenso che emanava dagli alberi e dalla foglie; un gelosissimo Marcello Mastroianni, fresco innamorato di Faye Dunaway, la tenne chiusa a chiave in albergo per tutta la durata del film Amanti
Cè stato un tempo in cui si diceva Cortina come si diceva Capri. Se la passavano di bocca in bocca gli happy few, i pochi felici di unItalia che stava uscendo dalla ricostruzione, ma non aveva ancora fatto il miracolo economico, lItalia insomma degli anni Cinquanta poveri ma belli, difficili eppure gonfi di speranza. A metà di quel decennio cerano state le Olimpiadi invernali, Cortina era andata in orbita e gli happy few avevano sperato che tutto sarebbe rimasto come prima, quando ancora viaggiare era un piacere e non un fenomeno sociologico. La speranza resse per una manciata di anni, il tempo che il «boom» si articolasse mantenendo tuttavia un suo decoro, e quello fu forse per Cortina il suo periodo più bello, non ancora di massa ma non solo elitaria, intellettuale senza essere noiosa, mondana senza essere volgare, elegante ma non alla moda. In La pantera rosa, che è un film del 1963, lalto e il basso, il vecchio e il nuovo, la sostanza e lapparenza, lo charme e il kitsch hanno come testimonial David Niven, Capucine, Claudia Cardinale, Peter Sellers, ovvero snobismo, classe, bellezza, istrionismo e ironia. Lo scenario naturale è quello del Cristallo e delle Tofane, della Croda da Lago e del Sorapis e davvero Cortina è una regina, quelle montagne sono i diademi della sua corona, quei frequentatori i suoi sudditi. In Lamicizia, uno dei racconti che aprono il primo Sillabario di Goffredo Parise, Cortina e le sue «distese di neve dove gli sci scricchiolano sul manto fresco e i camosci sorpresi e scattanti di muscoli fuggono come volando sulle rocce affioranti fra i pini e gli alberi» sono i protagonisti di una felicità del vivere quale pochi scrittori hanno saputo raccontare. Fra il film di Blake Edwards e il primo Vacanze di Natale dei fratelli Vanzina passano ventanni e la grande mutazione è già in pieno svolgimento. Quando, ancora ventanni dopo, i Vanzina lo bisseranno, Vacanze di Natale Duemila, si sarà compiuta. Cortina in fondo è sempre Cortina, ma siamo noi, italiani e no, turisti per caso, per forza, per status a essere cambiati.
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